Le tante facce della povertà
mercoledì 28 giugno 2023

La ripresa economica, che pure è stata sostenuta negli ultimi due anni, non basterà. E neppure la crescita dell’occupazione risulterà sufficiente. La povertà nel nostro Paese non sembra destinata a diminuire in maniera significativa. Anzi, rischia di crescere ulteriormente dopo l’impennata dei prezzi dei mesi scorsi, come lasciano presagire i dati sugli accessi in aumento ai servizi della Caritas, segnalati nell’ultimo Report dell’ente ecclesiale.

La povertà in Italia è ormai una questione strutturale, che riguarda quasi il 10% della popolazione, con 5,5 milioni di persone stimate in miseria assoluta.

Un fenomeno che vive fiammate improvvise nei diversi momenti di crisi – da quella finanziaria della Lehman Brothers alla pandemia, ad esempio – ma che comunque continua ad alimentaris di stratificazioni successive di persone variamente escluse. Coloro che non hanno un’occupazione, principalmente, ma anche chi soffre di un disturbo mentale o fisico, padri e madri che per una separazione o l’assenza del partner si trovano soli e faticano ad assicurare il minimo ai figli. E ancora, gli stranieri arruolati nel mercato irregolare, fino a coloro – e sono un numero crescente - che un lavoro pure ce l’hanno ma è troppo discontinuo o mal remunerato. Nuovi poveri che si aggiungono a un 30% di bisognosi “storici”, seguiti dalla Caritas da oltre 5 anni, a riprova della difficoltà di uscire dalla condizione di povertà.

L’Osservatorio della Caritas, sulla base dell’esperienza dei centri di aiuto, ha profilato cinque insiemi: i vulnerabili soli; le famiglie povere; i giovani stranieri in transito; i genitori fragili e i poveri soli. Profili e bisogni diversi, accomunati però da due fattori. Il primo: la necessità di queste persone anzitutto di essere ascoltate, consigliate, guidate. Il secondo: la correlazione tra povertà e bassa scolarità. Fra coloro che chiedono aiuto, infatti, ben il 44% ha la sola licenza media inferiore, il 16% non è andato oltre le elementari e il 6% è addirittura analfabeta. I due terzi di chi ha bisogno, dunque, sono poco istruiti, faticano maggiormente a trovare un‘occupazione regolare e hanno difficoltà ad esercitare i propri diritti. Certo, di recente risultano in aumento anche gli assistiti con diploma e laurea, così come gli occupati che sperimentano l’indigenza - sono ben il 22% del campione Caritas - ma il livello di istruzione si conferma come uno dei fattori chiave discriminante.

Ora, se il Reddito di cittadinanza – lungi dall’abolire la povertà come era stato annunciato – sosteneva solo in modo parziale i veri poveri, il nuovo ”Assegno di inclusione” (Adi) – che si stima tagli del 40% il precedente bacino di beneficiari – difficilmente potrà da solo essere una risposta efficace alle crescenti povertà. Tutt’altro. La nuova misura perde infatti il suo carattere universalistico, assumendo come criterio discriminante tra occupabili e “no” i soli carichi di famiglia, subordinando di fatto a questi ultimi l’accesso ai sussidi. Il forte rischio è che le persone in difficoltà, senza figli e in età adulta, rimangano del tutto prive di sostegni sia monetari sia di accompagnamento. Spinte, meglio costrette ad accettare qualsiasi occupazione, con qualunque remunerazione, ovunque essa si trovi.

Ma, come i dati Caritas dicono chiaramente, anche la crescita economica e il lavoro purchessia, quand’anche lo si trovi, non bastano ad arrestare la povertà e la polarizzazione della società tra abbienti e miseri. Decisivo appare, invece, agire su due leve: la presa in carico da un lato e l’istruzione/formazione dall’altro. Sul primo fronte, bene la decentralizzazione dei servizi, tra pubblico e privato in maniera possibilmente sinergica, scelta dal governo. Occorre, però, soprattutto coinvolgere e sostenere di più l’opera del Terzo settore dentro la società.

Sul secondo, giusta l’intuizione di spingere per il completamento dell’obbligo scolastico e in generale promuovere la formazione, a patto che non si considerino queste misure come “punitive”, da utilizzare solo per escludere dai benefici presunti “fannulloni”. E più ancora che si pensi a percorsi adatti a chi ha già sperimentato fallimenti scolastici ed è lontano da anni, se non da decenni, da qualsiasi aula.

La “lezione” che viene dall’Osservatorio della Caritas, in definitiva, è che la povertà moderna è sempre più sfaccettata, multidimensionale e necessita di interventi altrettanto diversificati per essere lenita. Potremmo dire di un approccio “persona-lizzato”. Perché le tante facce della povertà sono in realtà i milioni di volti di singole persone che dobbiamo impegnarci a non lasciare sole. Cioè ancora più povere.

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