Le donne di Kabul e che cosa produce la guerra che non chiamiamo guerra
giovedì 12 agosto 2021

Gentile direttore,
complice quel mondo a cui fa comodo far tornare l’Afghanistan al Paese che destabilizza l’area, i taleban stanno risalendo da ogni dove verso le strade che portano a Kabul. Ogni resistenza è vana. Tutto appare inutile. La corruzione, la mala gestione sono i loro migliori complici. Sono questi i mali che si fanno alleati di quelle milizie che parevano scomparse e che attanagliano e minano le fragili fondamenta di un accenno di democrazia che oggi si accartocciano, città dopo città. E in questo tempo così veloce, che pare spazzare tutto, il pensiero corre alle donne afghane, a quante con fatiche immani si erano scrollate di dosso secoli di prevaricazioni e ingiustizie. Alla loro primavera di riscatto. Il pensiero va a tutte le donne di Kabul che ormai raccontano delle ultime speranze per una società che non era certo la migliore, ma che di sicuro sarà stata ben oltre quella che i taleban vogliono riproporre. Sono di certo loro, come “Avvenire” avverte da mesi, le vittime sacrificali più evidenti di questo rigurgito che ha preso la forma di una marea inarrestabile. Il pensiero va alle loro energie che si vuole annientare. Il pensiero corre alle dita “marchiate” d’inchiostro ed esibite con tanto orgoglio dopo ogni libero voto. Alla voglia di studiare, di lavorare, di pensare, d’intraprendere, di scrivere, d’insegnare. Di esser parte di un mondo che oggi sembra andare di nuovo verso il buio.

Luca Soldi Prato

Ho le sue stesse preoccupazioni e il suo stesso dolore, gentile e caro amico. Ogni volta che metto gli occhi sull’Afghanistan e sulla sua gente, e da anni lo faccio almeno una volta al giorno, mi rendo conto di come sia più vero che mai che nessuna guerra “produce” pace. E continuo a imparare che la rinuncia a chiamare “guerra” la guerra (magari per poter fare a meno di riconoscere come profughi gli uomini e le donne che da essa fuggono) crea sempre nuove condizioni perché la guerra si faccia ancora più feroce e più terribilmente ingiusta. Per questo non possiamo né chiudere gli occhi né la bocca. E, per quanto ci riguarda, non lo facciamo.

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