Le carte sul ponte Morandi pesano come pietre su tutti
venerdì 23 aprile 2021

Il ponte era malato da molto tempo. I fumi dell’inquinamento, la salsedine e l’intensissimo traffico ne insidiavano lentamente le strutture portanti. Poi, gli anni passando, molte parti del Morandi hanno cominicato a mostrare segni allarmanti di usura. Come è possibile però che un enorme ponte crolli di colpo, sulle case su cui sta arditamente sospeso? La domanda continua a perseguitarci. La Procura di Genova ha chiuso le indagini sulla tragedia del 14 agosto 2018, 43 morti. Non è una sentenza, non è ancora il rinvio a giudizio per i 69 indagati, oltre ad Autostrade e alla controllata Spea, responsabile della manutenzione. Ma sono pagine che sgomentano chi le legge.

Incoscienza, negligenza, immobilismo, comunicazioni fuorvianti, sono le espressioni usate dalla Procura, sulla base delle perizie commissionate. Sembra di assistere alla lenta agonia di quel colosso sulla città a un passo dal mare. Come una serie di cigolii prima sommessi, poi di 'crac' netti, ma senza apparenti conseguenze. Quasi in una moviola l’inchiesta ripercorre gli accertamenti, le parziali manutenzioni, i sopralluoghi. Gli anni scorrono. Gli italiani, e noi stessi, passavamo sul ponte di Genova chiedendoci a volte se non avessero paura, gli abitanti di quei palazzi, a dormire con un simile mostro sulla testa. Ma certo, ci dicevamo, se il ponte è aperto è perché la stabilità è assoluta.

Ci dicevamo. Invece dalle carte delle perizie emerge un’incredibile sequela di silenzi e omissioni. Con la privatizzazione di Autostrade, si afferma, le spese di manutenzione calano del 98%. Le falle nella struttura e soprattutto nella pila 9, quella del crollo, si allargano. Ci sono agli atti intercettazioni in cui responsabili della manutenzione si chiedono se a fare i controlli 'ci mandano i ciechi'. Si chiedono come è possibile fare gli accertamenti di notte, alla luce delle torce, pur di non fermare il traffico di giorno. Così che tutti si continua, serenamente, a passare sul Morandi. Un video della telecamera di un’azienda sotto al ponte mostra esattamente l’istante in cui lo strallo d’acciaio si spezza: l’attimo in cui anche il cemento e il metallo cedono infine alla fatica. Non l’avremmo mai creduto possibile, noi che ci fidavamo. Diamine, non si tiene aperto un ponte, se non si è matematicamente certi che sta in piedi. È questo l’impietrimento che l’inchiesta della Procura, non ancora rinvio a giudizio e nemmeno sentenza, già lascia addosso. Il sospetto che non si possa fare un totale affidamento su quell’'altro' che si occupa di un grande elemento della vita di un Paese: la sicurezza delle strade, vale a dire qualcosa di fondante, come la potabilità dell’acqua negli acquedotti. Qualcosa che crediamo di poter dare per scontato.

Ci preoccupiamo di quanto possano correre in auto i nostri figli, ma non certo dei ponti o dei viadotti. Quelli sono una forma del bene comune, che dovrebbe stare a cuore a tutti. Forse certi indagati che probabilmente andranno a processo a Genova non hanno figli, ti domandi. Perché se ne hanno, come facevano, sapendo dello stato del Morandi, nei week end estivi, sapendoli diretti al mare di Genova, a dormire tranquilli? Il ponte dentro le sue colonne portanti si corrodeva. Nel quartiere Polcevera i bambini andavano a dormire, abituati ormai al rombo dei Tir così vicini. Non si poteva credere che il gigante veramente cedesse: si chiama fiducia nel prossimo, si chiama società civile.

Quanto sarebbe costato mettere in sicurezza il Morandi? Quanto avrebbe pesato sui bilanci? Smarriscono, le pagine della Procura di Genova, come se un elemento essenziale venisse a mancare nell’aria che respiriamo. Come se contasse per qualcuno ormai solo l’adesso, solo il ritorno economico, e niente invece la responsabilità verso gli altri, e anche verso i figli che verranno. Come importasse a qualcuno solo l’immediato tornaconto: e il prossimo, e il futuro, e chi verrà dopo, per niente. Se anche tutto è vero, ci diciamo, sarà successo solo, tragicamente, a Genova. Non ci possiamo credere, non vogliamo. Perché poche altre cose sono, di un mondo, così forti segni di declino. Se tutto fosse vero, il nuovo elegante ponte di Genova non basterebbe affatto, e men che meno i risarcimenti per le vittime. Se tutto fosse vero bisognerebbe che ci guardassimo bene in faccia fra noi: per ritrovarci, per ricominciare.

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