sabato 11 agosto 2012
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Caro direttore,nella partita a scacchi, che si sta giocando per la nuova legge elettorale, le preferenze sono al centro del dibattito. Mentre l’Udc le ha sempre apprezzate e invocate senza però difenderle con costante vigore, il Pd sembra scoprire ora che le preferenze si prestano a comportamenti – l’inquinamento del voto, i costi della campagna elettorale – che ne stravolgono il valore. Per carità, certe osservazioni non sono senza fondamento e certe distorsioni sono note da decenni. Nessuno, comunque, mi sembra si sia levato a chiedere con energia la soppressione delle preferenze anche nel voto per i Comuni. Sorge pertanto un dubbio: l’avversione del Pd nasce solo dalla volontà di chiarezza e di evitare lotte a suon di valanghe di euro, oppure alla base c’è la constatazione che il controllo esercitato dal partito sui votanti non è più possibile come un tempo? 
Andrea Sartori
 
Begli interrogativi, caro signor Sartori. Comincio dal fondo. Beh, francamente non saprei dirle se il Pd sia tendenzialmente contrario al voto di preferenza perché teme di non saper controllare i propri votanti come ai tempi del Pci. Ma non credo che questo sia il motivo. Perché il Pd è "figlio" non solo del Pci-Pds-Ds, ma anche di altre e diverse storie (comunque presenti, sebbene qualche volta siano appena tollerate e qualche volta si dimostrino troppo silenti). E poi perché credo che nessun partito ormai, neppure il Pd, si illuda di poter esercitare un controllo quasi militare sul proprio elettorato di riferimento. Venendo alla gran questione, non dico nulla di nuovo se rivelo di essere sempre stato favorevole alla preferenza unica (il solo referendum in materia elettorale che rivoterei subito con convinzione è proprio quello del 1991). La preferenza unica ha il merito di riconoscere al cittadino-elettore il potere di scegliere non solo il partito ma anche la persona da eleggere in Parlamento, cioè il potere che l’attuale legge a "listoni bloccati" (il cosiddetto Porcellum) nega in radice. La preferenza unica, per di più, aiuta a non ricadere in quel controllo del voto e sul voto che in diverse zone del nostro Paese nel passato si realizzava con artifici resi possibili dalle preferenze multiple. Dicono che reintrodurre la preferenza comporti in ogni caso un "costo": le spese che i candidati sopportano per far conoscere se stessi e le proprie idee. I collegi uninominali, invece, non imporrebbero questo sciupio di risorse. Già, ma solo se i candidati fossero "paracadutati" nei collegi, ovviamente per scelta dall’alto, com’è accaduto nei primi dodici anni della cosiddetta Seconda Repubblica (quando si votava con la legge basata sull’uninominale, il Mattarellum). Se infatti i candidati fossero selezionati con primarie di collegio, garantendo a militanti e simpatizzanti la possibilità di esprimersi, ecco che i costi risalterebbero fuori. Voglio dire che la democrazia ha sempre un costo. Votare costa. Essere liberi di scegliere costa. Ma ne vale la pena. Non è un motivo per toglierci la matita di mano, ma è una ragione in più per noi cittadini di pretendere che chi ci rappresenta usi bene la nostra fiducia e il mandato ricevuto.
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