giovedì 20 settembre 2012
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​Sessanta per cento. Questo è il numero di studenti che, secondo quanto riporta di recente il Corriere dell’Università, una volta iscritti in università si accorge di non aver fatto la scelta giusta. La notizia fa eco ad un’altra: a breve verranno pubblicati i risultati di un esperimento pilota di orientamento alla professione dal nome La Bussola condotto dal Metid (Metodi e tecnologie innovative della didattica) del Politecnico di Milano. Il progetto riguardava i ragazzi degli ultimi due anni delle scuole superiori. Risultato: la maggior parte di questi non aveva la più pallida idea del lavoro che sarebbe piaciuto loro fare in futuro e di conseguenza a quale facoltà iscriversi di lì a poco. Questo dato trova infine conferma in una recente ricerca commissionata dall’Istituto Toniolo e realizzata dall’Ipsos la quale mette in evidenza che un giovane su quattro è insoddisfatto del proprio lavoro. Situazione disagevole da addebitarsi sicuramente alla crisi che costringe a trovare un impiego non consono alle proprie aspettative, ma forse ciò accade anche perché i nostri ragazzi non sanno quello che vogliono.I motivi che gli esperti si affrettano a illustrare sono molti: occorre anticipare la fase di orientamento al quarto anno delle superiori, è necessario che gli adulti e i docenti in primis siano ben formati nell’indirizzare i giovani, i test di ingresso devono essere più selettivi e prove simili è opportuno che siano introdotte nell’ultimo anno delle scuole superiori, etc. Tutte indicazioni sicuramente assai preziose da tenere in considerazione, ma forse non centrano il cuore del problema. Il nocciolo della questione sta in questo: i nostri ragazzi non sanno cosa scegliere perché non sanno chi sono. La professione e gli anni di studio propedeutici a questa dovrebbero essere l’espressione pratica del nostro io. Ciò che noi facciamo nel campo lavorativo è la concretizzazione di ciò che siamo, è l’attualizzazione tramite gesti, fatti etc. della nostra natura. Il lavoro come lo studio allora sono fenomeni antropologici, cioè manifestazioni sensibili della nostra persona, sono il dispiegarsi nel tempo e nello spazio del soggetto. Ora la mancanza di conoscenza di se stessi – dei talenti e difetti, dei propri orientamenti e gusti, delle inclinazioni, del proprio carattere e fisionomia psicologica – è uno dei fattori che impedisce ai giovani di proiettarsi nel futuro. E senza mete precise, non c’è cammino. E senza cammino non si agisce, non ci si mette in moto. I sociologi riportano poi un dato comune e allarmante: la morte del desiderio negli adolescenti. Pare paradossale ma già a 16, 17, 18 anni non si sogna più, si vive alla giornata, divorando qui e l’ora. Dunque da una parte occorre risvegliare il cuore dei giovani ad ideali alti e allettanti e dall’altra è di primaria importanza conoscere se stessi per poi meglio scegliere il proprio futuro, al fine di transitare dal concetto ormai un po’ datato e frusto del "cercare lavoro" – che si situa nell’ansiogena prospettiva interrogativa, della domanda: il cercare – a quello ben più pregnante del "trovare la propria vocazione professionale" – che invece da una parte si articola sul fronte, umanamente più appagante, della risposta: il trovare, e dall’altra pone al centro di gravità dell’orientamento professionale la persona e non in primis l’impiego. È bene dunque passare dal dire e pensare "farò l’ingegnere, il medico, l’avvocato", al "sarò un ingegnere, un medico, un avvocato", espressioni che sovraordinano l’essere al fare, la persona ai fatti. Uno scarto dunque non prettamente linguistico ma di sostanza. Le potenzialità, i limiti, i pregi, la forma mentis, le abitudini, i desideri, i sogni e le speranze non sono altro che la proiezione nel domani del nostro io di oggi. Questa prospettiva allora privilegia la persona che costruisce il proprio cammino secondo i personali desiderata – a patto ovviamente che siano ragionevoli – e che non si fa meramente instradare da altri o che non crede di aver trovato la propria strada semplicemente perché ha messo le crocette giuste nel test di ingresso all’università.
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