martedì 21 settembre 2010
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Si potrebbe dire che è la sorpresa del giorno dopo. Anzi, meglio, la «solita» sorpresa. Con qualche ingrediente in più, questa volta. Perché se ai viaggi papali previsti (e raccontati) come «difficili», «complessi» e circondati da un’«atmosfera ostile» siamo abituati, forse nessuno come questo appena concluso nel Regno Unito era stato presentato come una pura e semplice mission impossible. Un’avventura senza speranza nel cuore del secolarismo più avanzato, dell’indifferenza religiosa più acuta, del relativismo etico più manifesto.Il riconoscimento – e in che misura! – del successo della visita oltremanica di Benedetto XVI risuona, anche per questo, tanto più forte. E non c’è dubbio che, parlando di successo vero e pieno, si parla di qualcosa che va oltre la mondanità degli ascolti, e ben oltre lo stupore immediato. Papa Ratzinger ha colpito con i suoi gesti semplici e le sue parole profonde, incalzanti. All’occorrenza anche dure. A celebrare in Newman, profondamente inglese e anglicano tanto quanto lucidamente cattolico, la modernità teologica aperta al confronto col mondo. A pressare, proprio in nome di quella modernità, la più antica democrazia del pianeta e a spingerla a interrogarsi se si possa davvero costruire una società migliore mettendo la fede da un parte. A pregare, assieme ai fratelli anglicani, per un’unità che deve diventare testimonianza comune, quotidiana, a ogni livello. A esprimere indignazione e vergogna per gli abusi sui minori commessi da alcuni figli della Chiesa, e a chiedere e assicurare giustizia. A ringraziare, da tedesco, per il contributo decisivo dato dal Regno Unito per fermare la «follia nazista».La gente ha visto. Ha ascoltato. Ha capito. Certamente, molto ha contribuito, in questo successo, il proscenio offertogli dall’ospite, a cominciare da quella Westminster Hall in cui il Papa ha pronunciato uno dei discorsi più alti del suo già straordinario pontificato. Un interesse, quello verso Oltretevere da parte del mondo britannico, che ha molte ragioni, a cominciare dalla crescita del numero dei cattolici nel Paese – un milione in più in neppure trent’anni, per lo più immigrati – la condivisione con la Santa Sede di tanti obiettivi di sviluppo e, soprattutto, il riconoscimento di un’influenza a livello planetario certamente non proporzionale ai 44 ettari della Città del Vaticano.Un’attenzione pragmatica, se si vuole, nel più stretto stile d’Oltremanica. Ma pragmatico non vuol dire utilitaristico. Nel commosso saluto della speaker della Camera a Westminster Hall, nell’abbraccio del Primate della Chiesa d’Inghilterra, o a Birmingham nell’inatteso e commosso saluto finale – «ha dato a tutti noi qualcosa su cui riflettere» – del primo ministro David Cameron, s’è vista la misura di quale breccia Benedetto XVI abbia aperto. Di come abbia sorpreso, e di come questo sia stato un segno intenso e felice. Perché in realtà sorpresa non è stata, ma conferma e risposta a un’attesa manifesta e serena, perfettamente leggibile – da chi avesse voluto – già alla vigilia del viaggio.E, in questo, va dato atto che quella parte della stampa inglese che aveva giocato sull’immagine di mission impossible, alla fine ha avuto l’onestà, e il coraggio, di dare all’ospite tutta l’attenzione dovuta e meritata. Senza nascondere alcunché, e anzi riconoscendo i propri errori di valutazione. Sia di fronte alle decine di migliaia di persone che, anche a Londra, lì sì in modo del tutto inaspettato, si sono riversate sulle strade per vedere il Papa, sia, soprattutto, al cospetto di un pensiero che Benedetto XVI ha presentato nitido, con una semplicità e una forza impossibili da ignorare. Papa Ratzinger col suo stile mite e forte costringe a pensare, ponendo domande che toccano chi sa ascoltare e che nessuno dovrebbe più ignorare.
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