venerdì 15 luglio 2016
La morte di Provenzano, la vittoria delle vittime ci impone di insistere
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Quando ho ascoltato la notizia della morte di Bernardo Provenzano ho subito pensato a Dario, Nando, Simona, Maria, Rita, Lucia, Tina, Caterina, Franco... Ai tanti fratelli, sorelle, figli, genitori, mogli delle vittime di Binnu u’ tratturi.  Uomini e donne precipitate nel dolore più immenso a causa della violenza mafiosa. Ho pensato a loro che questa violenza voleva zittire e chiudere in un lutto insuperabile, in una vergogna imposta. Invece no. Non sono stati zitti, hanno parlato, senza vergogna (e di cosa poi?), senza paura, nel ricordo dei loro cari. Memoria e impegno. La morte non ha vinto, la violenza non ha vinto. E loro, gli apparenti sconfitti, hanno in realtà vinto. Molti non hanno avuto piena verità e giustizia, ma sono loro la verità e la giustizia. «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto», dice Gesù, un altro sconfitto-vincitore. E dal seme delle vittime della mafia è cresciuta una pianta sempre più rigogliosa, nutrita di impegno e volontà. Mentre la malapianta mafiosa avvizzisce nel chiuso delle celle del 41bis, il carnefice è sconfitto dalle sue vittime. Chi voleva farsi storia chiude la sua vicenda terrena nella solitudine più profonda. Chi dalla storia doveva essere espulso è, invece, sempre meno solo. Il 21 marzo, primo giorno di primavera, in decine di migliaia si stringono ogni anno ai familiari delle vittime di mafia nella Giornata della memoria, profetica intuizione di don Luigi Ciotti. E tutto l’anno scuole, associazioni, parrocchie accolgono e ascoltano le storie delle vittime attraverso le parole dei loro cari. «Noi non siamo come loro, tenetelo a mente: noi non siamo come loro», diceva Paolo Borsellino. È proprio vero. La conferma è in vite che non si sono fermate nel giorno del piombo e delle bombe come volevano Provenzano e gli altri boss. «Convertitevi. Lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene. Questa vita che vivete adesso non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità», ha scandito papa Francesco il 19 marzo 2014 rivolgendosi ai mafiosi e incontrando proprio i familiari delle vittime. E ha acceso negli occhi di questi ultimi la commozione e la felicità. Sì, la felicità di chi ha trasformato il dolore in impegno. Come i giovani delle cooperative che a Corleone e nei paesi un tempo 'regno' di Provenzano portano i nomi delle vittime – Placido Rizzotto, Pio La Torre... –, creano lavoro e coltivano buoni frutti sui terreni strappati ai mafiosi. Corleone che, grazie all’impegno di sindaci come Pippo Cipriani e Nino Iannazzo, politicamente lontani ma spinti da analoghi valori, sta utilizzando tutti i beni confiscati.  Certo la strada del cambiamento è ancora lunga, come dimostrano recenti arresti e inchieste che toccano anche l’attuale amministrazione comunale. Ma tanto resta. Come l’area commerciale intitolata a Libero Grassi, imprenditore coraggioso anche lui vittima di Provenzano. E resta un cartello stradale, lassù in contrada Montagna dei cavalli. «Via 11 aprile 2006, cattura di B.Provenzano, mafioso». Mafioso e catturato. Tutto qui. Sì, lui ha perso, i mafiosi hanno perso. E le vittime sono i veri vincitori. Ma dopo ogni vittoria bisogna continuare a ricostruire conm buona politica, buona economia, trasparenza e intransigenza per non ricadere nel baratro della violenza mafiosa. La malapianta, non è più infestante come un tempo, ma è sempre in agguato.
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