sabato 4 giugno 2011
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A sentire la Commissione mondiale sulle politiche della droga, la guerra contro la droga è perduta. A consegnare la brutale confessione alle Nazioni Unite è un rapporto di 24 pagine: 50 anni di lotta vana, un fallimento, un disastro. Tra i firmatari, l’ex segretario Onu Kofi Annan, e gli ex presidenti di Messico, Colombia, Brasile.Questi nomi ci danno un fremito, perché il fallimento ci sembra, più che una denuncia e un allarme, un’ammissione anche della propria sconfitta; forse spettava pure a loro far qualcosa di meglio per evitarlo. Il meglio, adesso, lo vogliono insegnare loro, ed è di lasciar perdere col "proibizionismo", da cui dipenderebbero gli esiti funesti; ora ci vorrebbero politiche di legalizzazione delle droghe, almeno di quelle più diffuse. Minor lucro per i trafficanti, maggiore assistenza ai tossici, minor danno sociale. Sembra di risentire una cantilena che in questi stessi 50 anni di lotta alla droga su scala mondiale ha accompagnato la repressione del turpe mercato, gestito da mafie, e in parallelo la dissuasione del consumo insieme con l’attività di recupero dei tossicodipendenti.La cantilena della droga legale, controllata, pulita, a richiesta, magari largita dal servizio sanitario; o la droga libera, quando leggera. Ma sentirla cantata di nuovo a quel livello, quando ci saremmo attesi programmi mondiali di macroeconomia (come la riconversione delle colture di papavero e di coca di grandi regioni geografiche), diintelligence e di cooperazione transnazionale, di diplomazia e se possibile di pedagogia mondiale, ci sembra una desolazione. E vorremmo capire allora se vincere o perdere la lotta alla droga si riferisce alle galere piene o vuote, rispetto ai trafficanti acciuffati o a quelli imprendibili, o si riferisce alla libertà o schiavitù dei nostri figli esposti alla droga offerta e consumata. Perché quest’ultimo, la libertà dalla droga, è l’obiettivo essenziale. L’altro è strumentale. Noi non facciamo la guerra ai drogati, facciamo la guerra ai 'drogatori'. Non principalmente perché fanno soldi turpi, ma perché forniscono schiavitù e morte in cambio di soldi turpi. Ma se diventiamo noi stessi drogatori per le nostre leggi, diamo noi schiavitù e morte in luogo delle mafie.Diremo che le abbiamo sconfitte perché siamo arrivati noi prima di loro, e dunque loro hanno perso. Ce l’avremmo fatta da soli, a distruggere i nostri figli. Perché l’eroina resta eroina, e la coca coca, comunque targata, mafia o Ssn. E le droghe leggere? Gli ultimi rapporti scientifici sul possibile "danno mentale" restano così inquietanti da togliere il sonno. Dunque, le politiche mondiali contro la droga dovranno cercare vittoria piuttosto nella libertà dalla droga. Essa vuol dire prima di tutto "liberazione" per chi vi è incappato, schiavo dei trafficanti.Mettendo al bando le crudeltà punitive per queste vittime, viste e amate come vittime sconfitte. E in Italia già lo facciamo da decenni, con modelli di volontariato dove la solidarietà civile s’intreccia (vedi caso, quanti cristiani sulla breccia) col Vangelo.Essa però vuol dire poi "precauzione" contro le trappole tese a chi si lascia far preda dei trafficanti e dei messaggi seduttivi (ma ci pensano mai, quelli che si dicono pro-droga-legale e spinello-libero, che si fanno prosseneti potenziali di servitù?); costui va fortemente difeso, cioè duramente dissuaso. Per gli uni e per gli altri la sollecitudine non è sferza, ma dovere sociale. Illusoria follia sarebbe sostituire alla catena di ferro della droga criminale il guinzaglio di velluto della droga legale per dire d’aver vinto. Vinto, sì. Arrivati primi, a dar sventura invece di sventura, cambiandole nome. A dar morte invece di morte, cambiandole nome.
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