sabato 31 maggio 2014
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​Non basta una legge per costruire una coscienza. Ma una legge basta e avanza per disorientarne e confonderne mille e più. Ecco perché c’è poco da rallegrarsi per il via libera alla Camera del divorzio-lampo. Soltanto sei mesi per dirsi addio. Una conquista civile, come si sono affannati a commentare i più? Noi siamo convinti del contrario. Una politica che sembra coalizzata per impoverire il matrimonio e offuscarne l’immagine agli occhi dei giovani che si preparano ad affrontare le scelte che contano, condanna la società intera a essere più scomposta, frammentata, parcellizzata di quanto già non lo sia. In qualche modo schizofrenica, perché progressivamente incapace di rintracciare al suo interno le ragioni stesse del suo fondamento. Vuole davvero questo la nostra classe politica? Cosa c’è, se non la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, alle radici di una società, di qualsiasi società? Sarebbe interessante guardare negli occhi i trecento e più deputati che hanno dato il primo via libera alla Camera – cosa succederà in Senato è tutto da vedere – e chiedere loro se davvero, al di là delle direttive dei rispettivi gruppi, siano convinti che esista qualcos’altro, se non quel patto di amore e di corresponsabilità, di impegno progettuale e di reciprocità tra un uomo e una donna, per costruire una rete solidale capace di reggere per noi e per le generazioni che verranno l’impatto di una realtà complessa e tormentata com’è oggi la nostra società, seminando speranza e futuro, accoglienza e coraggio. Finché qualcuno non troverà un’altra struttura antropologica su cui poggiare l’architrave del bene comune – ma dovrà dimostrarne il buon funzionamento e la sua compatibilità con la biologia e con il sentire profondo dell’uomo – la famiglia e tutto quanto vi è collegato rimangono il progetto centrale e insostituibile di ogni azione politica. E allora, per darle giusto riconoscimento, per accompagnarne e sostenerne i compiti, come può essere utile svuotare il matrimonio, asse portante della famiglia, riducendolo a una sorta di accordo a breve termine, un Pacs a scadenza ravvicinata da bruciare – se lo si vuole – nell’alternanza di un’affettività sempre più umorale e volatile? Nessuno mette in dubbio che fosse necessario riformare la nostra pessima legge sulla separazione e quella ancora più confusa sul divorzio. Ma l’intervento compiuto non solo non risolverebbe i problemi aperti, ma ne aggiungerebbe altri. Sia di natura tecnica legati alla difficoltà da parte della macchina giudiziaria di gestire la nuova norma, sia – e sono quelli che ci stanno più a cuore – legati al disagio esistenziale di chi decide di archiviare i propri progetti di vita familiare, innescando sofferenze e problemi che si allargano a centri concentrici. Ma nella legge non si fa cenno ai figli, come se un padre e una madre, al di là dei vincoli di sangue e d’affetto, non avessero anche responsabilità ben precise – oltretutto stabilite anche dal codice civile – nei confronti di chi hanno messo al mondo. Di tutto questo il legislatore, quasi rapito in una dissennata foga indirizzata soltanto ad abbreviare i tempi della separazione, non ha tenuto conto. Quasi che quei due anni, o due anni e mezzo, in più o in meno fossero la terapia decisiva per risolvere la questione, magari illudendosi di poter iniettare così nuove energie in una famiglia che non riesce più a fare figli – i dati Istat non sono un’opinione – e quindi condanna se stessa e l’intera società a una sclerosi progressiva, a una paralisi che rende più incerto e oscuro il futuro di tutti. Una politica saggia e lungimirante avrebbe dovuto invece andare al cuore del problema e chiedersi come mai non solo un numero crescente di matrimoni si spezzano prima del tempo, ma anche – e forse soprattutto – pensare ai motivi per cui sono sempre meno i giovani che decidono di affrontare il futuro con un progetto di vita forte, coerente, coraggioso. Quel trampolino di lancio che, anche sul fronte dei sentimenti e delle convinzioni profonde, si chiama fiducia, non si costruisce certo con una legge specifica. Ma se mancano tutte quelle misure e quei sostegni concreti finalizzati a rendere più agevoli i compiti delle famiglie, anche lo spazio ideale in cui educare i nostri figli all’impegno, allo spirito di sacrificio e alla responsabilità, finirà per risultare più precario. E dissolto o impoverito lo scambio generazionale, anche a causa della crescente evanescenza della coppia, cosa ci rimarrebbe? Cari deputati - e in prospettiva, cari senatori - fermatevi a riflettere. C’è ancora spazio per un gesto di saggezza a favore della famiglia e, quindi, di tutto il Paese.
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