martedì 14 marzo 2017
La concretezza coinvolgente di un modo di vivere e di parlare Incontrai per motivi pastorali Bassetti, l’attuale vescovo di Perugia, pochi giorni dopo la sua prima visita ufficiale a papa Francesco
La sintassi di Francesco col Vangelo in mano
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Incontrai per motivi pastorali Bassetti, l’attuale vescovo di Perugia, pochi giorni dopo la sua prima visita ufficiale a papa Francesco. Guardavamo tutti al nuovo vescovo di Roma con grande curiosità – per qualcuno era una curiosità nervosa – e colui che poi divenne cardinale mi descrisse Bergoglio così: «È un Papa con il Vangelo in mano». Ricordo dopo quattro anni quell’espressione perché nella sua semplicità mi sembrò non solo profondamente esaustiva ma anche estremamente attraente. Nei mesi e nei giorni successivi pensai molto a quelle parole. Anche a me sarebbe piaciuto essere un prete «col Vangelo in mano». Non solo: cominciai anche ad augurare ai cristiani con cui parlavo di essere cristiani «col Vangelo in mano».

Bassetti mi spiegò in quella occasione che essere un Papa «col Vangelo in mano» non voleva dire essere una persona che cita continuamente il Vangelo, che lo nomina a proposito e a sproposito anche se magari in maniera erudita, ma significava averlo così profondamente meditato da assumerne spontaneamente la stessa logica: al punto di averne, anche, la medesima sintassi. In papa Francesco un modo di vivere era diventato anche un modo di parlare. Per esempio, quando Gesù dice «non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato» Gesù parla in un modo semplice, ha una sintassi simmetrica: come è stato per lui così sarà per te. Pare che Gesù dica: guarda che Dio è semplice, perché l’amore è semplice. Cosa vuoi per te? Ecco: uguale devi volere per lui. Vuoi essere perdonato? Allora perdona. Cosa piace a te? Ecco, così fai a lui: perché Dio farà lo stesso per te. Quanto vuoi per te? Tanto? Tantissimo? Bene, allora dai anche tu tantissimo. Per esempio papa Francesco dice: in America devono accogliere gli immigrati perché anche loro un tempo sono stati immigrati, e come sono stati accolti così ora devono essere accoglienti.

Oppure, perché noi per diventare preti studiamo otto anni e alla fine, anche quando diventiamo preti, se troviamo una ragazza riceviamo pure il permesso di sposarci, e invece ai laici che devono fare il sacramento del matrimonio per tutta la vita senza eccezione facciamo solo tre o quattro conferenze? O, ancora, «quanta gente giustifica se stessa quando non dà l’elemosina dicendo “andrà a comprare vino per ubriacarsi”. E tu cosa fai di nascosto? E tu sei giudice di quel povero uomo?». Un Papa col Vangelo in mano non è solo un Papa che lo cita e che lo regala, è un Papa la cui sintassi è quella del Vangelo. È una sintassi in cui i condizionali e i congiuntivi sono pochi e molti sono invece gli indicativi.

È un modo di parlare in cui le parole astratte sono sostituite da quelle concrete perché quando Gesù dice «carne» parlando dell’Eucaristia intende il suo corpo e non un simbolo. Che sta nelle cose, nella realtà, che rifugge le teorie perché «la realtà è più importante dell’idea» ( Evangelii gaudium, nn.231-233): un Papa col Vangelo in mano.

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