giovedì 13 febbraio 2020
Il sistema di globalizzazione umana ci fa sperimentare una condizione paradossale: più siamo connessi, più il contatto si può trasformare in contagio
La politica del coronavirus: attivare gli anticorpi cattolici
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L’articolo che qui proponiamo del direttore padre Antonio Spadaro è contenuto nel ricco fascicolo 4072 della "Civiltà Cattolica", in uscita nel fine settimana

Contro l’infezione da paura dell’estraneo e da nazionalismi fare ricorso alle risorse di un nuovo impegno Il coronavirus Covid-19 si sta diffondendo nel mondo, generando una sindrome del contagio universale. Il sistema di interconnessione planetaria dell’umanità ci fa sperimentare una condizione paradossale: più siamo connessi, più il contatto si può trasformare in contagio; la comunicazione in contaminazione; le influenze in infezioni. L’apocalisse è a portata di mano. Scattano gli anticorpi, che impazziscono e si trasformano in sistema immunitario nei confronti di tutto ciò che temiamo di non riconoscere e di non riuscire a controllare. Il virus è ormai da tempo figura dell’immaginario: sin dalle piaghe bibliche fino alla peste dei Promessi Sposi e agli attacchi informatici. I confini dell’anima si restringono con la scoperta della nostra vulnerabilità.

La pandemia in questi casi finisce per essere sempre quella dell’insicurezza e dell’ansia. Il coronavirus sembra essere diventato oggi anche un sintomo (e un simbolo) di una più generale condizione di paura che ci portiamo dentro. Un recente sondaggio Swg ha messo in luce quanto gli italiani avvertano paura. Quali paure? Solo un dato esemplare: il 72% teme che i propri figli non riescano ad avere uno standard di vita decente e il 58% che non riescano a costruirsi una famiglia. La paura del futuro: questo è il virus dell’anima. Ma si potrebbe pronunciare una lunga litania di paure. Facendo memoria di Benigno Zaccagnini, il Presidente Sergio Mattarella di recente ha ricordato la sua esigenza «di offrire ai giovani un orizzonte di ideali, una prospettiva di valori per evitare l’inaridimento». «Inaridirsi è il pericolo che si corre», ha affermato: la paura inaridisce. Il primo effetto del contagio da virus della paura è l’anima arida, la desolazione. Il primo compito di un cattolico è, innanzitutto, la lotta all’inaridimento.

Quali i sintomi del virus? La reazione immunitaria che ci fa percepire il contatto con l’altro, il diverso, come un rischio di contagio si va radicando nelle nostre società e prende varie forme: una concezione angustamente securitaria che comprime i diritti di libertà e lo Stato di diritto; il sovranismo inteso come l’opposto di una politica estera imperniata sul multilateralismo e sull’Europa; l’ostilità verso l’integrazione; l’uso politico del cristianesimo ridotto a 'religione civile'. Il ragionamento è: se voglio star bene ed essere sicuro, devo indossare una mascherina e guardarmi dal contatto con l’estraneo. «Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo » (Elias Canetti). Vale sul livello per- sonale, vale sul livello politico. L’algoritmo di Facebook ce lo ha insegnato: le relazioni si basano su un calcolo di affinità. Gli algoritmi ci garantiscono di incontrare sostanzialmente chi ci è affine, simile e compatibile.

Viviamo in una bolla filtrata da mascherine che rafforza la nostra identità e ci fa sospettare dell’altro. Ecco perché bisogna smentire la logica dell’algoritmo che ha plasmato le 'macchine da guerra' social all’opera nella propaganda nazionalista e sovranista dell’homo homini lupus. Una specifica forma virale di 'paura' è il nazionalismo, che riduce l’idea di 'nazione' anch’essa a una bolla filtrata. Pio XI nel 1938, ricevendo gli assistenti ecclesiastici dell’Azione Cattolica, aveva fatto comprendere come il cattolicesimo possieda gli anticorpi per debellare questo virus. Disse: 'Cattolico vuol dire universale, non razzistico, non nazionalistico, non separatistico. Queste ideologie non sono cristiane, ma finiscono con il non essere neppure umane'. A differenza della globalizzazione imposta dai mercati, la visione cattolica è universale e pone al centro la persona e i popoli, riconoscendo l’altro, l’estraneo e il diverso come 'fratello'.

l cristiano sente che deve farsi carico delle attese, dei cambiamenti e dei problemi del Paese, che lo interpellano ad agire. Come attivare concretamente, nell’ambito della nostra vita sociale e politica, gli anticorpi contro il virus della pandemia della paura, dell’ansia e dell’odio? Una via per uscirne è rompere fisicamente la bolla degli algoritmi che fanno scattare una reazione di paura. Lo hanno fatto le 'sardine', che – a prescindere da ogni altra valutazione di merito – hanno funzionato come anticorpi contro le retoriche d’odio. Hanno dato una risposta fisica. I social sono serviti per essere 'sociali', cioè per incontrarsi. Questa è una via d’uscita: incontrarsi, fare cose insieme, dall’Erasmus alle iniziative di quartiere, per rivitalizzare i territori, le piazze, dove oggi non ci si parla più, ma si fanno comizi.

Chiaro che le 'sardine', così come altri fenomeni simili del passato e del presente, sono interfacce, a prescindere dalla definizione delle istanze delle quali si fanno portatrici, che restano aperte (e dunque inevitabilmente vaghe). La reazione fisica deve dunque diventare progettuale e tale da integrare pure emotività e intelligenza politica. La reazione antivirale deve lasciare spazio a un processo riabilitativo, ricostituente. Ma come organizzare le forze cattoliche all’interno della vita pubblica? Papa Francesco ha scritto che il laico, «immerso nel cuore della vita sociale, pubblica e politica», ha bisogno di nuove forme di organizzazione, e tuttavia «non si possono dare direttive generali per organizzare il popolo di Dio all’interno della sua vita pubblica» (Lettera al card. Marc Ouellet, 19 marzo 2016). n Italia stiamo elaborando l’uscita dal tempo delle 'direttive generali'. È un processo delicato e importante, nel quale il rischio è quello di oscillare tra due opzioni opposte. La prima è che la vita di fede e le responsabilità politiche non siano viste più come un binomio inscindibile. Si tratta di un’opzione disastrosa perché disconnette il sentimento religioso dalla costruzione della città. La seconda opzione è che la vita di fede sia strumentalizzata in funzione del consenso politico. Questa ha un impatto nefasto proprio sull’annuncio del Vangelo.

L’opzione che riduce i simboli cristiani a elementi di propaganda politica chiama in causa direttamente la Chiesa, che ha una responsabilità di- retta quanto all’annuncio, all’educazione, all’edificazione della fede cristiana. Si configurerebbe, dunque, una 'nuova questione cattolica' (G. Brunelli).

Tramontate le 'direttive generali', oggi ci si trova, dunque, davanti a questi due scogli da evitare per proseguire la navigazione in mare aperto. Proprio in un contesto come il nostro di crisi della governance e della rappresentanza, la sinodalità si presenta alla Chiesa come il cammino da intraprendere per andare avanti. Certamente quella sinodale è una dinamica meno 'governabile' a priori, perché mette al centro l’assemblea di persone reali che 'partecipano' e 'rappresentano' la Chiesa. Ma è questa, a nostro avviso, la via per attivare gli anticorpi propri del cattolicesimo, trovando una risposta pastorale della Chiesa ai virus della nostra democrazia.

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