venerdì 16 luglio 2010
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Caro direttore,sono un lavoratore 40enne di Cosenza. Voglio sottoporre alla vostra attenzione il modo in cui siamo costretti a lavorare in Calabria (e penso in tutto il Sud Italia). Noi operai, me compreso, siamo costretti, per continuare a lavorare, a firmare buste paghe che riportano importi molto superiori rispetto a quello che in realtà riceviamo. Io ho svolto vari lavori sempre in Calabria, e la prima cosa che ti dice il datore di lavoro durante il colloquio per l’assunzione è che lui ti mette sì in regola, ma corrispondendoti solo una parte dello stipendio. L’altra parte la trattiene per sé. In poche parole noi operai siamo costretti a subire senza alternative questa infamante forma di ingiustizia! Ovvero a non ricevere il giusto salario che ci è dovuto, come frutto del nostro lavoro! Ma vedercelo decimato, come una vera tangente da pagare ai mafiosi di turno, in questo caso i datori di lavoro, per poter continuare a lavorare nella nostra terra di origine! Anche questo è pagare il pizzo, anche questa è mafia o ’ndrangheta! Io mi chiedo, scoraggiato e arrabbiato, rivolgendomi a voi, se è possibile far approvare una legge che obblighi il datore di lavoro (specialmente del settore privato) ad accreditare in via continuativa sul conto corrente personale dei dipendenti l’intero stipendio segnato in busta paga. Soprattutto, ripeto, del lavoratore dipendente nel settore privato; in questo modo almeno inizieremmo a ricevere il giusto che ci è dovuto, evitando ogni volta di scendere a compromessi ingiusti e imbarazzanti con il datore di lavoro, che impone le sue condizioni arbitrariamente, in barba alle leggi e ai diritti sindacali. L’obbligo dell’accredito in banca (o in Posta o in altro istituto) dello stipendio, sarebbe buono anche al fine di controllare i movimenti di capitali.

M. P.

Non è la prima volta, caro M., che ci segnalano e che segnaliamo a nostra volta insopportabili vessazioni come quella di cui lei dà conto. Vorrei che fosse l’ultima, perché un problema elementare come questo non può continuare a restare senza soluzione. Il diritto del lavoratore alla "giusta mercede" e il dovere del datore di lavoro di corrisponderla sono due capisaldi di civiltà e l’impegno a garantirne il rispetto dovrebbe essere una delle preoccupazioni prioritarie del legislatore. Credo che la via da lei indicata, gentile amico, sia probabilmente la più diretta ed efficace. Con l’accredito in banca (o in Posta) di salari e stipendi finirebbe automaticamente in archivio anche nel settore privato l’era delle buste paga a due facce. È uno scandalo che si propone soprattutto al Sud, ma non esclusivamente al Sud. E va tolto di mezzo una volta per tutte. Spero, con lei, che in Parlamento si mettano occhi e testa sulla questione e si provveda rapidamente e bene.
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