La forza della preghiera è anche di questo mondo
mercoledì 15 aprile 2020

«Catena dolce che ci rannoda a Dio»: questo è la preghiera del Rosario nella Supplica di Bartolo Longo, apostolo e instancabile propagatore dell’una, autore dell’altra, due invocazioni che s’intrecciano come non mai, in tempi come questi segnati da angoscia e dolore ma affamati di speranza. Passando di mano in mano, nel silenzio di questi giorni tormentati e difficili, i grani del Rosario sono come leggeri rintocchi di campane che scuotono lo spirito: chiamano a raccolta un popolo della preghiera che pur uscendo allo scoperto, sa di non dover serrare le fila. Perché mai dovrebbe farlo? Non è da tenere per sé questa emozione mai spenta, tenuta talvolta al riparo, ma che ora allarga in maniera spontanea e naturale il campo, come qualcosa che era attesa e di cui s’avvertiva perfino nostalgia.

Il Rosario esce così dalle case e grazie anche alla tv, alla radio e ai canali della comunicazione digitale porta un altro mondo al mondo sconvolto di oggi. Una trama che aiuta a leggere e a stare in un presente irreale, assediato alle spalle da paure antiche – i secoli bui segnati da epidemie e pestilenze – e turbato da un futuro che non spazza via orizzonti ancora più cupi. S’è visto in questi giorni che non è la preghiera a cercare cittadinanza in un mondo come questo, ma è proprio il mondo a reclamarne la presenza, perché troppe cose porta con sé che lui sembra aver smarrito o posto in disparte, perché considerate ormai fuori corso e fuori tempo in una società ipertecnologizzata e iperconnessa.

Non è solo consolazione e nemmeno conforto, non dice tutto neppure la speranza, sempre messa a dura prova. Non può essere, allora, altro che vita, e vita piena, quest’onda che misteriosamente «rannoda a Dio», lo chiama in causa e lo rende presente, qui e ora, in un momento della storia che sembra sovrastarci e inchiodarci ai nostri limiti. C’è un segno forte, quasi un sigillo di garanzia, a dirci che tutto questo è vero.

A portarci in casa – in questo tempo di vita sospesa che stiamo vivendo – questo inesprimibile “spettacolo” di emozioni, sono i mezzi di una comunicazione che ha cambiato faccia, tempi, immagini, ma che non era però obbligata o condannata a cambiare natura, e a stravolgere, come spesso è avvenuto, anche il messaggio. Accadrà anche stasera, alle 21.00, con il Rosario dal Santuario di Pompei su Tv2000 e in diretta Facebook. Il “successo” delle celebrazioni e delle iniziative di preghiera promosse dal Papa, dai vescovi italiani, dai media di ispirazione cattolica è un dato che conta, e che va assegnato alla vicenda ecclesiale, oltre che ai numeri dell’audience – per quanto riguarda le emittenti Cei e il complesso di Vatican Media – o anche a quelli delle tirature o dei contatti per questo giornale nazionale e per i settimanali diocesani.

Se la preghiera è parte dello spirito nuovo di questi tempi, s’avverte ora anche una voce, anzi un coro che lo rende vivo. Si può quasi udire, oggi, e non più come un’eco del passato, il rumore lieve, come il rintocco di una minuscola campana, dei brani del Rosario, la preghiera degli «umili e dei santi, e quella che ci fa saldi in ciò che conta davvero», nelle parole di papa Francesco. La preghiera dei Papi del XX secolo, del secolo breve, Il più sanguinoso di tutti.

Più di ogni altra la più famosa tra le preghiere mariane, porta impressa la memoria dei tempi difficili della storia; ed è per questo che è anche la preghiera del popolo. Viene anche da qui questa forma di cittadinanza piena al tempo del coronavirus, l’epidemia dell’era della globalizzazione. Le preghiere non hanno tempo. Ma certo i “grani della corona mariana” sono entrati nel vivo di questi giorni, fino a segnarli a fondo. A dar loro un’anima, a volgere all’umano, e a tradurre in altri termini, il vocabolario di un’età che fa sbornie di connessioni e ci impone poi la drammatica realtà della lontananza e del distanziamento sociale. Connessione, nel mondo del Rosario sta per comunione. E può essere “rete” anche la «catena dolce che fanno a Dio». In questi giorni, s’è visto e si continua a vedere, che non si tratta di un altro mondo.

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