mercoledì 23 agosto 2023
Monica Bertagnolli, prima donna a dirigere l’Istituto Usa contro il cancro, è stata indicata da Biden alla guida dei centri nazionali per la ricerca sanitaria. «L’obiettivo è più equità»
Monica Bertagnolli, 64 anni, è figlia di immigrati italiani e baschi

Monica Bertagnolli, 64 anni, è figlia di immigrati italiani e baschi - JOHN SOARES 2017

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Monica Bertagnolli, 64 anni, scelta da Joe Biden come prossimo direttore dei National Institutes of Health (l’equivalente americano dell’Istituto superiore di sanità, ma di fatto uno dei centri più avanzati al mondo nella ricerca biomedica, con un budget di oltre 47 miliardi di dollari l’anno), è stata definita dai suoi colleghi «un chirurgo senza la personalità di un chirurgo». Le sue collaboratrici precisano che l’attuale direttrice dell’Istituto statunitense per la ricerca sul cancro – la prima donna a ricoprire questo incarico – non è il classico «chirurgo cowboy, brusco e spavaldo », ma fa sempre in modo che l’atmosfera, nella sua sala operatoria, come nelle sale riunione, sia «allegra, rilassata e accomodante». Per la figlia di immigrati italiani e baschi, cresciuta in un ranch del Wyoming circondata da veri cowboy, è il risultato di una scelta consapevole fatta quando ha mosso i primi passi in chirurgia all’inizio degli anni Ottanta, quando era un club per soli uomini: « Non volevo ricreare l’atmosfera tesa che avevo incontrato all’inizio. Voglio che tutti attorno a me si sentano a proprio agio in modo da dare il meglio di sé».

Dottoressa Bertagnolli, come ha imparato a muoversi in una specialità fortemente dominata dagli uomini?
Per me la chirurgia è uno sport di squadra e mi ha sempre attratta l’opportunità di lavorare con persone intelligenti e altamente qualificate per uno scopo comune. Penso che non avere una visone puramente individualistica della professione mi ha aiutata. Ma sono anche stata fortunata ad avere colleghi che mi hanno sostenuta. Per il resto, ho sempre fatto del mio meglio e non ho lasciato che nulla mi fermasse. E ogni volta che ho avuto un po’ di potere l’ho usato per fare in modo che le differenze che ho vissuto scomparissero. In questi giorni, più della metà dei tirocinanti chirurgi del mio istituto sono donne. Abbiamo ancora delle sfide, ma almeno ora il maschilismo non viene più facilmente spazzato sotto il tappeto, ma viene allo scoperto.

Se confermata dal Senato (il senatore ultra- progressista Bernie Sanders tiene il voto in ostaggio, esigendo dall’Amministrazione Biden una riforma dei prezzi dei farmaci) lei sarà la seconda donna a guidare gli Nih dopo Bernadine Healy nel 1991. Quale sarà il suo primo obiettivo?
Non posso parlare di un incarico che non svolgo. Ma già nella mia posizione attuale la mia ambizione è realizzare un sistema sanitario interconnesso e in continuo apprendimento. È qualcosa di cui parliamo da più di un decennio, ma non l’abbiamo ancora fatto. È un problema di coordinazione. Abbiamo bisogno di seri approcci di ingegneria dei sistemi che non guardino solo a un ospedale o una malattia, ma adottino un approccio globale alla nostra assistenza sanitaria. Questo è importante per l’oncologia perché i nostri pazienti non hanno il tempo di aspettare. La pandemia ha messo in luce molti di questi problemi ma ci ha permesso anche di cercare soluzioni creative e pronte all’uso, come la telemedicina.

Molti dei trattamenti sanitari più innovativi negli Stati Uniti, dove non esiste la mutua, sono carissimi per i pazienti. Un sondaggio mostra che 1 malato di cancro su 4 ha dichiarato bancarotta o ha perso la casa. Come possono gli americani ottenere i benefici dei progressi della medicina senza rovinarsi?

È una sfida terribile. Stiamo migliorando. Ma è assolutamente essenziale trovare un modo per garantire a tutti i malati di cancro la copertura delle proprie cure, in modo che possano vivere una vita piena senza andare in bancarotta a causa delle cure. A livello di ricerca possiamo determinare qual è il trattamento migliore che, si spera, può ridurre al minimo i costi dell’assistenza sanitaria. Possiamo anche aiutare a identificare qual è il modo migliore per fornire assistenza nella comunità. Il resto è soprattutto un tema politico.

A dicembre, lei ha rivelato di avere un cancro al seno in fase iniziale. Com’è stato ricevere una diagnosi di una malattia che ha curato per gran parte della sua vita professionale?
Prima di tutto mi rendo conto di quanto sono stata fortunata perché la mia prognosi è molto favorevole. Ma di certo ero scioccata. Sono andata a fare la mia normale mammografia aspettandomi che fosse negativa e ho avuto una brutta sorpresa. Ho subito un intervento chirurgico, seguito da chemioterapia e radioterapia. Ora so come ci si sente. Questa esperienza mi aiuta a essere ancora più concentrata sui pazienti. Una cosa è sapere del cancro come medico, un’altra è sperimentarlo in prima persona.

Recentemente ha detto di aver cominciato a partecipare in una sperimentazione clinica per il cancro. In passato ha riconosciuto che le sperimentazioni cliniche devono essere semplificate. Questa esperienza le sta insegnando qualcosa?
Sono felice di far parte di uno studio perché sono le donne che hanno partecipato a studi clinici precedenti che hanno reso possibile arrivare ai trattamenti che sto ricevendo. Penso che possiamo essere molto più precisi nel modo in cui organizziamo le sperimentazioni, molto più focalizzati sulla raccolta dei dati di cui abbiamo bisogno. E abbiamo davvero bisogno di più studi clinici. La comunità scientifica fornisce in continuazione nuove terapie, ma la nostra capacità di condurre sperimentazioni è limitata e rallenta i tempi per la distribuzione di nuovi farmaci. Spero di riuscire a incoraggiare più malati di cancro, specialmente quelli in gruppi sottorappresentati, a prendere parte alle sperimentazioni.

Il presidente Biden si è dato come obiettivo ridurre il tasso di mortalità da cancro del 50% in 25 anni. È fattibile?
Possiamo farcela, ma ci vorrà molta collaborazione. L’Istituto sul cancro può fare molto contribuendo alla scienza e alla ricerca, ma tutta la società e il mondo politico devono lavorare alla prevenzione. Sappiamo che le privazioni sociali ed economiche aumentano il rischio di cancro e che le popolazioni rurali svantaggiate hanno scarso accesso alle cure. Per questo uno degli obiettivi del mio nuovo piano nazionale è aumentare l’accesso e l’equità nei trattamenti.

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