mercoledì 21 maggio 2014
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​Caro direttore,
in una scuola vicina al mio paese un’insegnante, durante una lezione, fa un esempio citando il nome e una lacuna culturale di una collega. Una studentessa rimane negativamente colpita dall’episodio, tanto da riferirlo a casa. Ci sono ancora studenti così, puliti dentro, che chiedono agli insegnanti una "integrità globale" anche superiore a quella che chiederebbero ai genitori. Questi studenti hanno il diritto di non doversi sorbire in classe porcherie sul tipo di quelle che Melania Mazzucco ha inserito nel suo libro. Si facciano pure iniziative affinché le famiglie siano presenti a scuola; si vaglino con cura le cosiddette "proposte formative"; si chieda ai presidi il rispetto per la morale e la religione degli studenti. Ma l’una cosa non esclude l’altra: gli insegnanti che hanno dato spazio alla porcheria non possono restare impuniti.
Giovanni Lazzaretti, San Martino in Rio
Non cambio idea, caro signor Lazzaretti. Io non credo che per la via del giudizio penale che è stata scelta si arriverà a quella che anche lei, come altri, considera una giusta «punizione» per i professori che nel liceo romano hanno imposto, sbagliando, la lettura di un libro "a tesi" (quella cosiddetta del "gender") su famiglia, omosessualità e omofobia che, almeno in un passaggio, risulta decisamente e volgarmente urtante (c’è ancora libertà di critica in Italia, e noi la esercitiamo). In ogni caso, però, per quel che vale, non ho sollevato assieme ai miei colleghi il caso su "Avvenire" per ottenere la «punizione» di qualcuno. Prendo atto del fatto che qualcuno – non lei, sia chiaro – non si dà pace perché non agitiamo idealmente la bandiera delle manette per i prof. Ma tant’è: ci interessava e ci interessa – da genitori e da cittadini prima ancora che da cristiani – un "ravvedimento operoso" della scuola e nella scuola interessata. Un ravvedimento educativo che purtroppo rischia di mancare in modo drammatico (mi servo di un’immagine forte, usata in dialogo con me da Francesco D’Agostino e già presente nella preoccupazione espressa in modo pacato e incalzante anche da Luciano Moia). Che sia incombente questa duplice prospettiva – nessuna punizione, e la cosa non mi appassiona affatto, ma anche nessun ravvedimento, e questo invece mi allarma parecchio – lo dimostrano certe precipitose, stentoree e molto reclamizzate assoluzioni mediatiche (e le vittimistiche autoassoluzioni dei docenti coinvolti) alle quali abbiamo assistito. Ma lo confermano pure le esagerazioni sguaiate e volgari di alcuni facinorosi contestatori della scelta dei professori del "Giulio Cesare", eccessi aggressivi che con lei, caro amico lettore, e con me niente hanno a che spartire. A tutto questo non ci possiamo rassegnare e non ci possiamo consegnare. Mi auguro ancora, e continuerò a impegnarmi per quanto posso (l’abbiamo già fatto in diversi modi, anche affrontando il nuovo caso verificatosi in una scuola media inferiore di Treviso), perché si ragioni sui fatti e non su deformazioni di comodo dei fatti stessi e perché nella "scuola di tutti" si preservi e si affermi sempre più un giusto e sereno clima formativo, soprattutto su temi delicati e fondamentali che attengono profondamente all’umano. È essenziale che questo avvenga – con civile convinzione – a partire dal rispetto per i ragazzi (nessuno escluso), del ruolo degli insegnanti e della responsabilità educativa primaria delle famiglie. Da cattolici, come Papa Francesco ci ha appena ricordato, dobbiamo saper mettere nell’abitare e difendere questo prezioso «luogo» dell’umano, buone dosi di generosità e di passione cristiana.
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