Il superoutlet che vuole aprire a Pasqua: l'ultimo scippo
sabato 1 aprile 2017

Anche Santo Stefano e Pasqua. Perfino Pasqua. Trecentosessantun giorni di apertura non bastavano, alla proprietà ne servono 363 su 365 e quegli altri due non mancheranno di essere richiesti di qui a poco. La scelta del «più grande Outlet di Italia e d’Europa», quello di Serravalle Scrivia (Alessandria), di tenere aperto anche il giorno della Resurrezione ha provocato la reazione dei lavoratori, decisi a scendere in sciopero per la prima volta dall’inaugurazione, ma dovrebbe interessare tutti noi per ciò che rappresenta.

Il gruppo McArthurGlen, la proprietà americana del grande complesso con oltre 250 negozi di marchi della moda, spiega che l’apertura serve a intercettare il grande flusso turistico del periodo pasquale e sottolinea gli investimenti compiuti sul territorio che hanno portato a un significativo incremento dell’occupazione, fino a 2mila dipendenti. Dall’altra parte i lavoratori lamentano la persistente precarietà di molti rapporti, gli orari di impegno sempre più estesi mentre si contraggono le maggiorazioni per il lavoro festivo, con un numero ridotto di commessi per ogni negozio, costretti perciò a turnazioni gravose. Fino appunto all’impegno persino il giorno di Pasqua, con apertura – bontà della dirigenza – dalle 12 anziché dalle 10 come al solito e chiusura alle 20.

I sindacati – e in particolare la Cgil – hanno compreso da tempo, però, che in gioco non c’è tanto e solo una questione contrattuale su orari e retribuzioni, che si possono sempre negoziare, ma qualcosa di assai più prezioso: i diritti di ciascun lavoratore e di tutti. Non solo l’affrancamento dalla fatica ma la più alta libertà, insieme individuale e collettiva, religiosa e civile: avere un giorno di riposo e poterne usufruire assieme agli altri. Le domeniche, le diverse festività – e la Pasqua sopra ogni altra, fin dai tempi dell’Esodo – hanno questa natura e fondamentale funzione: permettere alle persone di godere non solo di una generica pausa, che si può fare in un qualsiasi giorno della settimana, ma vivere un tempo di libertà, verità e pienezza collettivo, sincrono rispetto alla libertà, verità e pienezza degli altri uomini. Fare festa significa certo avere tempo per sé, ma, soprattutto, è l’occasione data per ritrovarsi in famiglia, coltivare rapporti sociali autentici, costruire la comunità, in un giorno che è veramente libero perché libero per tutti.

Questa libertà condivisa non è più assoluta da tempo e molte sono già oggi le eccezioni sia per attività essenziali (la sanità, la sicurezza) sia per alcuni servizi, come quelli legati all’ospitalità, funzionali però a garantire proprio il "far festa" e il ritrovarsi delle persone. Tutt’altra cosa è sacrificare questa libertà, riducendo la complessa dimensione umana, che è costituita anzitutto dalla fitta trama di rapporti familiari, amicali, sociali, alla mera catena economicista di produzione, vendita e consumo. Tutto in fondo è ridotto a questo: il tentativo di massimizzare gli spazi e i tempi di consumo con centri commerciali sempre aperti e sempre più grandi, "travestiti" da nuovi luoghi d’aggregazione, piazze della (finta) festa. E infatti l’obiettivo, come recita lo slogan dell’Outlet di Serravalle, è far vivere alle persone una vera "shopping experience". Un’esperienza di consumo, appunto, in cui i legami sociali e lo stare insieme sono sempre subordinati al vendere e all’acquistare, allo scambio monetario, al profitto. Il contrario della gratuità che è la natura costitutiva della festa e di rapporti autenticamente umani.

Umani, appunto. Volutamente, per privilegiare la dimensione della libertà di tutti, credenti e no, non abbiamo parlato fin qui di che cosa rappresenta la festa per i cristiani. E in particolare questa festa: la Pasqua di Resurrezione, l’evento fondante della fede cristiana: «Se Cristo non è risorto è vana la vostra fede», scrive San Paolo. Non possiamo svendere la festa, questa festa in saldo. Non c’è prezzo – né di fatturato né di lavoro – che valga la sua sacralità. E oggi che la libertà religiosa, la possibilità di professare la propria fede in Cristo, arriva a essere messa in discussione da scelte politiche sbagliate e subdoli condizionamenti economici anche in casa nostra, è giunto il tempo di reagire. E se per difendere identità, fede, libertà dell’uomo occorre scioperare, allora noi stiamo con i lavoratori che sciopereranno; se per farlo occorre dire un "no" netto e chiaro a una shopping experience nel giorno di Pasqua, siamo pronti alla resistenza passiva a questo scippo senza alcuna destrezza. E abbiamo la memoria lunga.

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