sabato 29 ottobre 2016

Oggi fare del bene, considerato l’immenso bisogno (secondo l’Istat e la Caritas, i poveri assoluti in Italia sono quasi 4,6 milioni), non può prescindere da un’attenzione all’efficienza. Per essere efficienti, occorre mettere a disposizione le competenze che si possiedono e soprattutto conoscere il contesto nel quale si intende portare il proprio contributo caritativo. Io sono un medico farmacologo. Assieme ai colleghi che compongono il team dell’Osservatorio donazione farmaci da Banco Farmaceutico (che il 10 novembre presenterà il Rapporto 2016 – «Donare per curare: Povertà sanitaria e Donazione Farmaci presso la sede di Aifa»), abbiamo messo a disposizione la nostra esperienza nel campo della ricerca clinica. La realtà in cui il Banco opera è costituita da persone povere e malate, che hanno bisogno di farmaci. Per arricchire la conoscenza di tale realtà, abbiamo realizzato – oltre al Rapporto – diversi studi che sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. Uno di essi, il primo studio del genere in Italia (Drugs delivery by Charities: a possible epidemiologic indicator in children od undocumented migrants - Journal of Immigrant and Minority Health, 2016), rivolge lo sguardo alla popolazione più fragile. A quanti non hanno accesso al Servizio sanitario nazionale. E, in particolare, ai più fragili in assoluto. Ai bambini figli di immigrati senza permesso di soggiorno. I più piccoli sono esposti ai determinanti di malattia in misura molto superiore agli adulti. E hanno meccanismi di protezione minore.

I figli di queste persone sono studiati pochissimo all’interno della popolazione povera. Pur non potendo essere registrati presso un pediatra di libera scelta o un medico di medicina generale, hanno diritto a molte prestazioni del Ssn. Ma i loro genitori si rivolgono alle strutture pubbliche solo in casi estremi. Temono l’identificazione, hanno difficoltà con le procedure o sono ostacolati da barriere linguistiche-culturali. Gli unici di cui si fidano, sono gli enti caritativi, che svolgono un lavoro preziosissimo e senza i quali resterebbero privi di cure. Per tali motivi gli enti caritativi sono attualmente le uniche realtà in possesso di dati attendibili sullo stato di salute di queste persone.Abbiamo, quindi, studiato la popolazione in età pediatrica assistita da alcuni di questi enti convenzionati con Banco Farmaceutico. La nostra casistica è stata costituita da oltre 600 minori stratificati in base al sesso, all’area geografica di provenienza (Africa del Nord, Africa Sub-Sahariana, America Latina, Europa dell’Est e Asia Centrale e Meridionale) e alla fascia di età (0-5 anni, 6-11 anni e 12-14 anni). Abbiamo rilevato che i nativi di Asia e Africa Sub-Sahariana erano scarsamente rappresentati (rispettivamente 5,1 e 3%), mentre i mediorientali addirittura assenti. Il dato non ci ha sorpreso: i migranti asiatici, sovente, sono bene integrati; quelli dell’Africa Sub-Sahariana sono soprattutto single senza figli; i mediorientali, infine, provengono da teatri di crisi e, di solito, attraversano l’Italia per raggiungere il Nord Europa. Abbiamo riscontrato che i farmaci maggiormente prescritti erano quelli per le patologie dell’apparato respiratorio (73% – molti studi hanno evidenziato un legame tra condizioni socio-economiche-abitative disagiate e l’incidenza di tali affezioni), per uso oftalmico e dermatologico (11,7% – dato in linea con la frequenza riscontrata specie nelle regioni tropicali) e per le malattie gastro-intestinali (7,7% – anche in tal caso, è stata riscontrato un legame con le condizioni disagiate).

Val la pena sottolineare, infine, come migliorare l’approccio terapeutico nei confronti dei figli di migranti irregolari, oltre che un imperativo umanitario, rappresenti un elemento che genera valore per l’intera comunità. È stato dimostrato che le malattie ripetutamente contratte in età infantile predispongono a cronicità in età adulta. E le malattie croniche costituiscono, a oggi, la stragrande maggioranza della spesa sanitaria pubblica e dei fattori di mortalità globale. Trascurare, quindi, tali patologie nei figli dei migranti determinerà costi sempre più elevati a carico della collettività.

*Professore associatodi Farmacologia, Università degli Studi di Milano

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