sabato 6 dicembre 2008
COMMENTA E CONDIVIDI
Un «salutare allarme collettivo che prelude a una seconda metamorfosi», ovvero: come vedere il bicchiere mezzo pieno. È il provocatorio paradosso che Giuseppe De Rita appone a suggello del 42° rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese. Una radiografia dell'Italia che in larga misura potevamo immaginare, pervasa com'è dalla paura del domani, dall'insicurezza collettiva, dal timore diffuso di veder compromesso per sempre il proprio tenore di vita e con uno specchio oscuro " quello americano " che dall'altra sponda dell'Atlantico rimanda segnali foschi e annuncia " è dato di ieri " un altro mezzo milione abbondante di disoccupati dopo i 750 mila di settembre-ottobre (il tasso di disoccupazione è salito al 6,7%), le Borse in picchiata e il crollo dell'industria automobilistica. Milioni di famiglie, segnala il Censis, sono strangolate dai mutui casa (81 mila di esse a rischio grave di insolvenza nonostante il taglio dei tassi da parte della Bce e il conseguente record minimo dell'Euribor) e dai risparmi erosi dalla tempesta finanziaria che ha travolto i mercati di tutto il mondo, laddove solo un quarto o poco più degli italiani di ogni ceto e di ogni latitudine reputa di poter uscire indenne da questa lunga crisi. Lo stesso ceto medio " se così ancora possiamo chiamarlo " si dichiara per i due terzi allarmato per le prospettive dell'economia mondiale e la sua reazione, purtroppo, è quella del timore e a volte del panico, l'esatto opposto di ciò che banchieri e governanti invocano, ovvero quell'ottimismo che esso solo può portarci fuori dalla crisi più nera, quella della deflazione, del ristagno, della recessione senza fine, dalla «poltigliosa mucillagine» che, come recita il rapporto, prelude solo al «collasso da implosione». Ma, come abbiamo detto poc'anzi, il Censis offre anche un'altra lettura del futuro che ci attende. Quella cioè di una seconda metamorfosi (la parola scelta è exaptation, adattamento innovativo) dopo lo scatto prodigioso avvenuto nel Paese fra il 1945 e i primi anni Settanta, quel lasso di anni in cui si collocano sia il baby boom sia il miracolo economico che da Paese a vocazione agricola distrutto dalla guerra ci ha condotto nel club delle prime potenze industriali del mondo. De Rita addirittura ritiene che l'Italia " i cui fondamentali sono buoni e la cui quotazione internazionale resta elevata " sia nonostante tutto già «silenziosamente in marcia» verso quel futuro, in uno slancio sotterraneo e imperscrutabile come un fiume carsico, al quale concorrono e si mescolano agenti molteplici, come gli immigrati (una risorsa, molto più che un problema), le minoranze vitali (la piccola impresa, cuore pulsante dell'economia italiana, ma anche il terziario che si reinventa giorno dopo giorno), oltre alla tradizionale predisposizione nazionale all'economia reale piuttosto che alla finanza creativa. Un presunto «ritardo» a lungo rinfacciatoci e oggi riconosciuto «scudo» capace di preservarci dai guai maggiori che stanno pagando altri Paesi. All'ottimismo possibile e necessario va contrapposto ovviamente il quadro congiunturale internazionale, che come si vede dai dati americani è molto negativo e promette una crisi lunga e duratura, le cui conseguenze più spinose si dovrebbero avvertire in Italia nei primi mesi del 2009. Ma il nemico peggiore secondo il presidente del Censis è la secolare furbizia italiana, che in tempi di crisi tende a mutarsi in una adattabilità radicale ma anche in una vocazione all'immobilismo: l'esatto contrario della spinta al cambiamento che si scorge sottotraccia. E insieme il nemico più subdolo che abbiamo dentro noi stessi. La sfida (e la chance) è resistergli, con sobrietà ritrovata e una riscoperta capacità di adattarci innovando.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: