In una stagione di crisi, in un contesto che sta rimodellando le tradizionali gerarchie geopolitiche del Pianeta, non ci si può rinchiudere in gusci più o meno consolatori, né far finta che vaste zone del mondo semplicemente non esistano. È il momento di rilanciare l’economia nazionale "agganciandola" all’espansione economica del Sud del mondo, proponendosi come partner di una nuova visione interdipendente in cui tutti potranno e dovranno fare leva sui punti di forza di ciascuno.
Occorre, insomma, aprire gli occhi sul tempo che stiamo vivendo, svecchiando approcci che non hanno più ragione d’essere, rispondendo al desiderio di futuro che tanto l’Italia quanto l’Africa esprimono, più apertamente loro, più confusamente noi: un desiderio di futuro che chiede un cambiamento coraggioso e lungimirante. È una sfida per un Paese come il nostro, impaurito, tante volte vittimista e provinciale. Ma è una sfida che può essere vinta, in linea con le nostre migliori tradizioni. Perché l’Italia è una nazione troppo grande, per storia, cultura, creatività, per essere condannata al provincialismo.
Dobbiamo riflettere di più sul ruolo dell’Italia nel mondo. Il salto da compiere è mentale e culturale, innanzitutto. Come sottolinea il rapporto Ispi, una priorità è «la costruzione di una "nuova narrativa" sull’Africa subsahariana, rovesciando la diffusa percezione di un insieme indistinto di Paesi instabili ed economicamente depressi, per "raccontare" invece di un’Africa che offre importanti opportunità economiche».
Ma forse un passaggio del genere è oggi più facile. In un tempo in cui papa Francesco invita a guardare dalle periferie per capire meglio la realtà, un approccio originale, può essere la via per sfuggire al "declinismo", per scrivere un’altra, positiva pagina di storia per il nostro Paese.
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