domenica 7 luglio 2013
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Caro direttore,
le faccio avere la lettera che ho inviato al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: «Buonasera, signora Ministro, sono un malato di ludopatia o gioco d’azzardo patologico in cura presso il Policlinico Gemelli di Roma. Leggere le cronache del suicidio di un povero ragazzo di soli 19 anni mi ha fatto venire la pelle d’oca e ha suscitato in me pena per la giovane età del ragazzo e per la sua famiglia, colpita da un lutto terribile, e da tanta rabbia nei confronti di chi doveva fare e non fa. Mi riferisco allo Stato italiano che non tutela il malato di ludopatia! Mi chiedo che cosa sarebbe successo se qualcuno fosse morto a causa delle sigarette elettroniche. Forse si sarebbe preso il pretesto per vietarle seduta stante – io sospetto non tanto per tutelare la salute del cittadino ma per compiacere qualche lobby –. E quanto pesano le lobby del gioco d’azzardo, una piaga che temo esploderà presto! Vedo tutti i giorni decine di pubblicità televisive che invogliano al gioco, anche se alla fine c’è sempre una vocetta che dice: «Il gioco può provocare dipendenza patologica»... Nella mia ignoranza, penso: ma non si potrebbe fare anche uno spot interamente dedicato alla malattia e alla dipendenza, visto che viene ancora considerata un vizio 'normale' e che molti 'giocatori' non conoscono i rischi che corrono? Noi malati siamo spesso considerati dei nullafacenti, persone senza cervello, buoni a nulla, malati di 'serie D', ma abbiamo una dignità che va difesa! Io ho dovuto rinunciare al lavoro perché ho preferito curarmi piuttosto che rimanere in balìa di quel demone! Chi mi aiuta ora? Dove sta lo Stato italiano e dove stava quando sommerso dai debiti pensavo di farla finita? Penso che la nostra Costituzione vada rispettata o vada riscritta... Signora Ministro, mi aspetto delle risposte da parte sua anche per rispettare la memoria del ragazzo morto e di tutti i malati di ludopatia. Sappia che mi permetto di indirizzare la mia email (sperando che così venga letta sul serio) anche al quotidiano 'Avvenire' unico organo di stampa che si interessa sempre – anche a 'telecamere spente' – a questo fenomeno». Grazie, caro direttore, a lei e ai suoi colleghi.
Riccardo I.
 
Amplifico volentieri la sua voce, caro signor Riccardo.
Sarà un giorno bello quello in cui l’azzardo che in questi anni, nelle sue varie forme, è stato fatto dilagare non verrà più propagandato (in tutte le possibile salse) dagli schermi della tv e sugli altri mass media.
Sarà un giorno giusto quello in cui finalmente si penserà a informare seriamente, anche in forma di spot, i cittadini di questo nostro Paese sul rischio rappresentato da questo tipo di 'gioco' che gioco non è affatto, che gonfia le illusioni di tanta gente e ne avvelena la vita e la speranza, terremotando – persino a morte – esistenze, famiglie, attività economiche, aziende.
Sarà un giorno davvero nuovo e degno di una civile democrazia quello in cui, grazie a una politica rinsavita e alla pressione di un’opinione pubblica risvegliata (e sempre più nel mondo associativo, della lotta all’usura, dell’università ci si sta adoperando a questo...), sapremo strappare i tentacoli di Azzardapoli (resi ancora più taglienti dalla criminalità organizzata) dal cuore delle nostre città e dei nostri paesi, quando riusciremo a tenerli lontani da scuole, oratori, palestre, sedi di associazioni giovanili. Sarà un buon giorno quello in cui nessun malato di 'gap', caro amico, dirà più di sentirsi un «malato di serie D».
Lei non lo è, perché lo Stato italiano ha una buona volta riconosciuto, in linea con l’Organizzazione mondiale della sanità, che il gioco d’azzardo patologico (la ludopatia) è una malattia da prendere sul serio. C’è riuscito, sia pure con grande ritardo e tra le mille ostilità e resistenze di una 'macchina' pro-azzardo molto determinata e assai potente sul piano amministrativo, parlamentare e lobbistico. Non è ancora abbastanza, ma è più di qualcosa. E da qui si parte solo per andare avanti: alzando argini, costruendo consapevolezza, difendendo e sostenendo le persone. La battaglia è ancora lunga, ma va fatta: lei non è solo, e ne uscirà.
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