venerdì 5 marzo 2010
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Caro direttore,vorrei esprimerle alcune considerazioni in merito all’editoriale di Francesco D’Agostino (23 febbraio) e alle lettere di Paolo Fanfani (25 febbraio), Brizio e Spagnolli (26 febbraio) sulle intercettazioni telefoniche disposte dalla magistratura nelle indagini investigative per ipotesi di reati segnalati dalla polizia giudiziaria o per notizie pervenute alle procure. L’argomento rientra nella guerra in atto da parecchi anni tra politici e magistratura. I politici lamentano la mancanza di riservatezza, di fatti o conversazioni non rilevanti penalmente, di dignità offesa, di gogna mediatica ecc. La questione interessa soltanto i politici o personaggi importanti dello spettacolo, dell’economia, della pubblica amministrazione, cioè di coloro che dovrebbero essere di esempio per tutti i cittadini, in materia di etica pubblica o di morale. Se dalle intercettazioni arriva il fango, la colpa non è dei magistrati o dei giornalisti, ma di chi si rotola nel fango e, una volta scoperto, non si vergogna, ma pretende rispetto. Non si sono vergognati, per esempio, di non aver rispettato i vincoli familiari verso il coniuge e i figli, di non aver rispettato gli impegni presi, come rappresentanti dei cittadini, di svolgere onestamente i propri compiti, oppure quelli conseguenti all’appartenenza alla Chiesa cattolica, ecc. In conclusione, caro direttore, non vi è alcun bisogno di regolare o restringere le attuali norme sulle intercettazioni, salvo i desideri dei criminali e di chi abusa del potere politico, amministrativo o economico. L’ordinamento giuridico italiano è più che garantista nei confronti dei politici e dei personaggi illustri, qualora dimostrino con i fatti, le parole e le azioni di essere onesti cittadini e buoni cristiani, come auspicava per tutti (gente comune o illustre) don Bosco. Se poi politici e uomini illustri preferiscono la corruzione, l’illegalità, il mercimonio della propria dignità, non possono lamentarsi e pretendere dignità, civiltà, riservatezza da parte di giornali e giornalisti.

Luigi Palladino, Roma

L’argomento intercettazioni, caro Palladino, rientra certamente nella scontro che lei descrive. Ma io sarei un po’ più preciso: la «guerra in atto da parecchi anni» non è tout court tra «politici e magistratura», ma tra settori del mondo politico e settori del mondo giudiziario. E non è solo una sottigliezza. Credo, poi, che sia un po’ difficile sostenere che la questione riservatezza riguardi solo pochi eletti. Purtroppo non è così. Purtroppo la realtà è che spesso finiscono «spubblicati» (dal caso Necci in avanti) anche signori e signore che non hanno commesso alcun reato. Purtroppo la realtà è che sulla base di frasi messe nero su bianco su una pagina di giornale senza rendere sempre percepibile il contesto da cui vengono estrapolate, senza poter riprodurre il tono con cui sono state pronunciate (che potrebbe anche essere scherzoso o paradossale...) e, soprattutto, senza che il procedimento giudiziario di cui sono elemento sia giunto a una fase minimamente conclusiva a proposito del loro valore o della loro attinenza ai fatti si arriva inesorabilmente a formulare un sommario pre-giudizio su persone e avvenimenti. Il suo condivisibilissimo rigore morale, gentile dottore, non ha ovviamente bisogno di giustificazioni e non mi sfiora neanche il dubbio che lei abbia indulgenza nei confronti di certo giornalismo guardone e gossipparo, proprio per questo credo che sia necessario ribadire che non possono esserci equivoci. Non si deve cercare di legare le mani (o tentare di sottrarre il registratore) ai magistrati e non si può nemmeno pensare di mettere un qualche «bavaglio» alla stampa, ma le attività giudiziarie e d’informazione hanno regole e queste regole devono essere rispettate nella forma e nella sostanza. Ecco perché il professor D’Agostino ha sollecitato, con ottimi argomenti, l’applicazione di una normativa ragionevole e forte a un’attività d’indagine indispensabile e al suo utilizzo «non giudiziario» (cioè soprattutto mediatico). Io sono d’accordo con lui, così come sono d’accordo con lei sul fatto che chi esercita un potere deve vivere in un casa di cristallo. Mi par poi di capire, caro Palladino, che condividiamo anche un’altra convinzione, e cioè che il nostro ordinamento abbia già in sé princìpi e norme sufficienti a garantire, in tema di intercettazioni, tutti i beni e tutte le libertà meritevoli di tutela. Il problema nasce lo stesso, ed è ormai lancinante, perché nei fatti questa tutela non c’è. E, da giornalista, non so dirle se basterebbe davvero una nuova legge per cambiare l’andazzo. Quello che so è che è assolutamente necessario un pieno recupero di misura, di serietà e di civiltà. Ho calibrato le parole, mi creda. E so che valgono per tutte le parti in causa, proprio tutte. Un cordiale saluto.
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