giovedì 2 aprile 2009
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« Prego anch’io con voi per la beatificazione di Giovanni Paolo II». Lo ha detto ieri Benedetto XVI al termine dell’udienza del mercoledì. Ricorre infatti oggi il quarto anniversario della morte di papa Wojtyla, di cui, tra i tanti insegnamenti inestimabili, traiamo alcuni temi dalla veglia di preghiera e dalla messa conclusiva della Gmg di Roma 2000. Diceva il Papa che la fede non è un salto nel buio, bensì «la risposta dell’uomo ragionevole e libero al Dio vivente» e, se è vero che ogni uomo, come l’apostolo Tommaso, è tentato dall’incredulità, nello stesso tempo, purché lo cerchiamo sinceramente, «sempre il Cristo risorto entra nel cenacolo della nostra vita e permette a ciascuno di sperimentare la sua presenza e di confessare: Tu, o Cristo, sei 'il mio Signore e il mio Dio'» ( Gv 20, 28). Così, è vero che nel XXI secolo è difficile credere, «ma con l’aiuto della grazia è possibile». Certo, credere in Cristo, qualche volta, anche oggi, richiede un vero martirio o, comunque, non di rado, comporta «quasi un nuovo martirio»: quello di chi, oggi come ieri, «è chiamato ad andare contro corrente per seguire il Maestro divino». Tuttavia – diceva Giovanni Paolo II ai giovani –, la vita cristiana non è frustrante, anzi (come spiegava con una logica analoga a quella della metafisica neoplatonica della partecipazione): «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna». Nondimeno, anche noi credenti a volte siamo tentati di girare le spalle, e anche a noi Gesù rivolge la domanda fatta ai discepoli: «Forse anche voi volete andarvene?» ( Gv 6, 67). Ma le molte disillusioni della vita, le tante delusioni persino dopo aver conseguito gli obiettivi a cui anelavamo con tutte le nostre energie, dovrebbero portarci ad esclamare come Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» ( Gv 6, 68). Infatti, di parole intorno a noi ne risuonano tante, ma «Cristo soltanto ha parole che resistono all’usura del tempo e restano per l’eternità». Del resto, neppure i nostri più grandi amori possono pienamente rispondere all’esigenza del nostro cuore: «Ogni persona umana è inevitabilmente limitata: anche nel matrimonio più riuscito, non si può non mettere in conto una certa misura di delusione». Insomma, «Solo Gesù […] è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano». Ebbene, già nell’Eucaristia e nella vita di fede abbiamo l’anticipo parziale di quella comunione totale che è rimandata alla vita eterna. E Cristo «ama ciascuno di noi in maniera personale ed unica nella vita concreta di ogni giorno: nella famiglia, tra gli amici, nello studio e nel lavoro, nel riposo e nello svago. Ci ama quando riempie di freschezza le giornate della nostra esistenza e anche quando, nell’ora del dolore, permette che la prova si abbatta su di noi: anche attraverso le prove più dure, infatti, Egli ci fa sentire la sua voce».
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