martedì 18 novembre 2008
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La cifra complessiva indicata come intervento anti-crisi dal governo " 80 miliardi di euro " è di quelle che impressionano. Sono 160mila miliardi delle vecchie lire, per intenderci quasi il doppio della maxi-manovra da 90mila miliardi che il primo governo Amato varò per salvare l'Italia dal dissesto nel 1992. In realtà, se si scompongono i capitoli di spesa, ci si accorge che almeno 56 miliardi di euro vengono da fondi europei e investimenti in grandi opere già programmati. Gli ulteriori 14 miliardi, invece, sarebbero destinati in gran parte alla ricapitalizzazione delle banche (10), mentre solo i residui 4 miliardi riguarderebbero gli aiuti diretti, da spartirsi tra sostegni alle imprese e «alle famiglie». Se questa è la cornice, ben più ristretta di quanto la rappresentazione generale lasci supporre, occorre almeno intendersi sui contenuti del quadro d'intervento. Certamente di fronte alla recessione ormai certificata, incrementi dei fondi per la cassa integrazione rispondono a un'esigenza forte. Meglio ancora sarebbe estendere a tutti i lavoratori " al di là della forma del loro contratto " un sistema unico di sostegno al reddito, così da non perpetuare anche nella disoccupazione la divisione fra protetti e precari. Così pure, la conferma degli sgravi sulle ore di straordinario e sui premi di produttività andrebbe probabilmente ritarata. Limitando l'intervento alla contrattazione aziendale, che (si spera) diverrà il perno del nuovo sistema contrattuale, e lasciando invece cadere le agevolazioni sullo straordinario, inutili o addirittura controproducenti in una fase di crisi. Dev'essere chiaro, però, che quelle delineate finora come prime indiscrezioni sono misure a sostegno del lavoro, di una parte dei cittadini " gli anziani sulla soglia della povertà ai quali è destinata la social card già varata " o dei contribuenti, come nel caso dei prospettati sconti sull'anticipo Irpef. Nulla di tutto ciò riguarda invece la famiglia come tale. Il prestito da 5mila euro per i nuovi nati, infatti " al di là del personale impegno del sottosegretario Giovanardi che ha messo sul piatto quel poco di cui può disporre il suo dipartimento " non rappresenta certo una risposta alle difficoltà che da anni scontano le famiglie con figli. Dieci milioni di nuclei penalizzati da un sistema fiscale che non tiene nel dovuto conto l'onere di crescere ed educare i figli. Con un rischio povertà sempre più strettamente correlato al numero dei figli, proprio in virtù dello storico deficit di spesa sociale destinata alle famiglie. Il piano del governo è ancora in buona parte da definire e in queste ore emergono anche altre ipotesi. Se però l'obiettivo è non tanto tamponare gli effetti della crisi, quanto dare una scossa al sistema e iniettare fiducia, allora è necessario pensare "più in grande". Progettare un intervento strutturale che indichi chiaramente una svolta, tracci un sentiero per il futuro, aiuti e valorizzi la famiglia in chiave sussidiaria. I meccanismi possono essere diversi: l'introduzione piena del sistema del quoziente familiare costerebbe " secondo le stime " circa 8,5 miliardi di euro. Una versione iniziale, limitata ai redditi medio-bassi, potrebbe comportare un onere dimezzato. Il ritorno al sistema delle deduzioni, via via incrementabili fino a coprire il puro costo di mantenimento di un figlio, avrebbe un impatto ancora inferiore sulle casse dello Stato, senza incidere su altre tipologie di contribuenti. Puntare solo su grandi opere, stabilità dei mercati e rispetto dei parametri di bilancio, potrebbe non servire se si omette di sostenere la trama del tessuto sociale. Ricapitalizzare le famiglie " prima ancora delle banche " lasciando ad esse porzioni maggiori di reddito è il primo passo per superare la crisi scommettendo sulle proprie forze.
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