Basta con il maschilismo solo nascosto
martedì 21 novembre 2023

Non è un mostro. L’assassino di Giulia non è un mostro, perché in quel caso la società «non deve prendersi la responsabilità», secondo Elena Cecchettin, la sorella della giovane laureanda veneta massacrata dall’ex fidanzato. Qui c’è una responsabilità sociale, dice Elena, malgrado tante riflessioni più o meno intense, tante indicazioni per rimedi più o meno visti o sentiti o disattesi, tanti buoni propositi, mea culpa, accuse, consigli e silenzi più o meno imbarazzati. Malgrado tutto ciò c’è una società statica, comodamente seduta su posizioni antiche se non arcaiche, logore, oggi anche contraddittorie, che parlano di dialmeno ritti delle donne, di servizi per le mamme, di consigli per le giovani.

Ma che poi elargisce con braccio maschile (spesso anche quando braccio di donna) concessioni centellinate, perché la “cultura patriarcale”, citata da Elena, è ancora dominante nelle nostre case. Velata e neanche nascosta da divisioni inique di incombenze domestiche, da sorrisini ammiccanti (che diventano ben altro se si esce da contesti “civili”), da atteggiamenti anche inconsciamente rinunciatari. La società lascia ancora che si confonda la ricorrenza dell’8 marzo con una Festa. Lascia ancora che un evento storico che dovrebbe rappresentare il ground zero su cui installare la scala per raggiungere la luce sia usato alla stregua di un Halloween o un San Valentino, per commercializzare cioccolata e mimose e saldi per sole donne. Con la compiacenza delle donne, fuorviate dalla società stessa. E ancor più di quegli uomini che amano “allentare la corda” per 24 ore. Elena usa parole forti nella sua lettera inviata al Corriere della Sera: « Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge ».

Eppure, lo Stato la Legge ce l’ha già, è la Costituzione. Scritta negli anni in cui le donne iniziavano a prendere coscienza di far parte della Società. Di avere diritti oltre ai doveri. E non è un caso se in tutte le sale dove viene proiettato C’è ancora domani, quando la regista- attrice Paola Cortellesi svela quello splendido gioco di equivoci e inquadra la folla di donne in attesa di accedere alla scalinata e varcare quella soglia, scatta l’applauso commosso e liberatorio. Sì, perché quello dovrebbe rappresentare il diritto dei diritti, quella libertà negata a un’esistenza completa, come lo è quella degli uomini. Che per lo più, in Italia, preferiscono restare maschi. Con il mondo che gira attorno a loro.

Una rendita camuffata, o anche una rendita non del tutto voluta. Oggi le parole del padre di Giulia squarciano la coltre di angoscia con cui ci coprono le minacce e le accuse di chi grida vendetta o anche solo giustizia. Doverosa, quest’ultima, ma magari con una “G” maiuscola. Le parole del padre di Giulia sono quelle che i nostri figli dovrebbero sentire in casa, vengono dal rispetto della vita, dal rispetto dell’altro, dal rispetto di chi è tanto diverso da te da uccidere tua figlia. Dal rispetto per sé stessi che è alla base del rispetto del prossimo, che è alla base dell’amore. E allora è importante quello che i ragazzi dovranno imparare a scuola. Ma l’appello, da donne, va fatto ai padri. Dei figli maschi e delle figlie femmine. Perché siano l’esempio di quel rispetto. E perché dalle loro case escano un giorno uomini e donne per cui sperare che “c’è ancora domani”.

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