mercoledì 30 maggio 2012
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Operai sepolti sotto ai capannoni, cascine in macerie, chiese scoperchiate che mostrano al cielo un altare coperto di polvere. Sedici morti, duecento feriti, altri ottomila sfollati. Sembrano bombardati certi paesi attorno a Carpi e Mirandola. Gli elicotteri dei tg rimandano immagini aeree che ci riempiono di una strana inquietudine. Perché sembra così mansueta, così in pace la pianura che si allarga oltre Modena; così ordinata nelle strade diritte, nei filari di pioppi, nei verdi differenti delle colture che maturano puntuali, a fine maggio.Sembra, questa terra emiliana, così docile, e perfettamente governata dagli uomini che in millenni l’hanno dissodata e disboscata, e resa fertile. Ma che cosa è stato ieri mattina, e poi di nuovo all’una? Il terremoto, l’abbiamo sentito bene questa volta in tutto il Nord. Quell’improvviso sussultare dei pavimenti, e lo strano battere delle imposte alle finestre, che pareva un bussare; non il bussare di un amico però, ma l’urto di un visitatore prepotente, di un brutale padrone. E abbiamo pensato: se è così qui a Milano, chissà com’è laggiù, sull’epicentro. E abbiamo pensato con pena all’Emilia, ai suoi paesi, alla sua gente. Forse in questo istante, ci siamo detti, qualcuno è rimasto ucciso dalle macerie, o intrappolato, e sta chiedendo aiuto. Abbiamo pensato ai vecchi nelle cascine isolate, in campagna, così soli davanti al visitatore nemico. Crolli, grida, e poi una gran polvere; e poi ancora il silenzio, rotto solo forse da un cane alla catena, che abbaia.Eppure sembrava così piatta e cheta quella terra, così abbondante, così generosa. Hanno detto che in certi paesi ieri l’acqua risaliva spontaneamente dai pozzi più profondi, nera, fangosa. Ci sembra una ribellione di abissi, qualcosa là, nelle viscere della pianura, che ha rilasciato la forza covata in una antica rabbia.E guardiamo sbalorditi in certe foto la sottile crepa nera che si è aperta nelle strade diritte del Modenese; voltiamo lo sguardo – qualcosa, in quella frattura, ci fa male. Forse è che questa volta l’abbiamo sentito anche noi il terremoto; e allora non è più solo qualcosa che vediamo in tv, ma qualcosa che, se pure minimamente, ci ha sfiorato. (È strano, è brutto sentire la casa in cui sei nato tremare; è quasi un dubitare della bontà della propria madre, un non potersene più totalmente fidare). E più silenziosi che davanti a un tg come gli altri, dunque, restiamo a guardare. Quel prete morto nella sua chiesa, e gli immigrati che raccontano che avevano paura a tornare in fabbrica, ma, come si fa? Si rinuncia a un lavoro, in tempi come questi? E le povere cose che tracimano dai muri crollati, impolverate, confuse, già macerie che le benne delle ruspe solleveranno malamente, in una nuvola di polvere. Erano oggetti di una casa, telefoni, libri di scuola, e anche un trattore giocattolo, giallo; tutto, in un attimo, l’oscuro nemico ha trasfigurato. Sembrava così per sempre domata dagli uomini, quella terra. Fabbriche che anche nella crisi tengono duro, immigrati di Paesi lontani che fanno i turni di notte e balbettano il primo italiano. E piazze ordinate, col municipio da un lato e la chiesa dall’altro; e l’oratorio e il campetto da calcio, su cui generazioni di bambini di quel paese hanno giocato. Come pare inerme oggi questa povera fiera Emilia, che già si sforzava di ripartire. E come inermi in realtà ci siamo per un momento sentiti anche noi, che ci crediamo della nostra vita padroni. Questo ci ha sussurrato il terremoto, ieri mattina: in realtà, diceva col suo pugno sulle nostre mura, non siete padroni di niente. E i treni dell’alta velocità sono ripartiti adagio, e anche nel metrò di Milano i convogli per qualche minuto hanno viaggiato lenti. Come cauti, e i passeggeri sopra inquieti. Ieri la gente di Milano e della grande pianura attorno per qualche minuto si è fermata; poi, rassicurata, è tornata in ufficio e in fabbrica, scherzando coi colleghi, sorridendo di quell’attimo strano. Quasi che per un momento avesse sospettato che nemmeno nei nostri nuovi audaci grattacieli, noi non siamo padroni. Ma poi grazie a Dio il sussulto si è fermato, e ci è sembrato solo, quel pensiero, un’ombra, come un sogno – di quelli cui non diamo retta, al risveglio.
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