domenica 11 settembre 2011
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Non si può rievocare l’11 settembre 2001 senza riflettere su quanto accaduto nei dieci anni successivi. Le drammatiche immagini di allora sono impresse nelle nostre menti, e l’eco di quel «siamo tutti americani» risuona ancora nella coscienza. «La tragedia di quel giorno – ha scritto ieri il Papa nel suo messaggio all’arcivescovo di New York, Dolan – è aggravata dalla pretesa degli attentatori di agire in nome di Dio».Gli Usa si ritrovarono uniti, feriti e pensosi. A rileggere le ultime parole delle vittime delle Twin Towers, raccolte dalle registrazioni telefoniche e dai messaggi, si trovano soltanto preghiere, richieste di aiuto e nessun sentimento d’odio. Poi sono venuti gli anni della «guerra globale» al terrorismo. Le conseguenze sono note: 130 mila vittime civili in Iraq, Afghanistan e Pakistan – secondo le più recenti statistiche americane – e 6 mila militari statunitensi uccisi, cui sommare quelli dei Paesi della coalizione. Destabilizzato da un’ondata di violenza, l’Iraq non trova ancora la via della pace, mentre Afghanistan e Pakistan attraversano difficoltà gravissime. Il mondo, oggi, è migliore?Il dibattito sulla reazione da opporre all’attacco terroristico e alla sfida di al-Qaeda resta aperto. La reazione militare riscosse l’approvazione di tanti in America e di molti in Occidente. Ma è stata fatta veramente giustizia? Il mondo arabo islamico ha percepito la guerra al terrorismo come una lotta all’islam o al mondo musulmano in quanto tale. La simpatia nei confronti dell’America ferita è svanita rapidamente, cancellata dalle immagini di Guantanamo, di Abu Ghraib, dei troppi caduti sotto le bombe dei droni. L’incerto andamento delle operazioni in Iraq e Afghanistan, la diversità di approccio tra i partecipanti alla coalition of the willing, la "coalizione dei volenterosi", denunciano la persistente assenza di strategia. Dove si voleva arrivare? Cosa si è ottenuto? Lucio Caracciolo sostiene che si sono artificiosamente creati dei «teatri della paura». E la paura, in genere, si ritorce contro chi la diffonde. Dieci anni dopo, il mondo non è né più sicuro, né meno spaventato. Quanti vollero fortemente queste guerre dovrebbero oggi intraprendere una seria e umile analisi. Il «no alla guerra» di Giovanni Paolo II rimase inascoltato. Ma quel grido, forte sebbene soffocato dalla malattia, era lungimirante.Tutti questi avvenimenti, tuttavia, vanno letti insieme a quelli più recenti della "primavera araba". Proprio nell’universo che per dieci anni è stato dipinto a tinte fosche, tollerando regimi autoritari perché ci difendessero dalla violenza jihadista, si è levato da alcuni mesi un vento di libertà. I giovani sono scesi in piazza per chiedere diritti, democrazia, giustizia. Negli slogan raramente risuonavano accenni antiamericani o antioccidentali. Il simbolo della rivolta è divenuto quel luogo strano, diverso, pacifico che è piazza Tahrir al Cairo. In Tunisia, la gente semplice ha chiesto cittadinanza e rispetto, contagiando velocemente Libia, Yemen, Paesi del Golfo e Siria, fatti che questo giornale ha puntualmente documentato.Come, da quel mondo considerato tenebroso e infestato dai terrorismi, è potuto improvvisamente emergere un popolo pacifico che invoca a mani nude il rispetto dei diritti democratici? Evidentemente la realtà non era quella descritta. L’alibi "o noi o il caos" propinato per decenni dai regimi autoritari arabi si è rivelato falso. I teatri della paura hanno celato al nostro sguardo la verità. Non troppo diversamente dall’Italia di qualche decennio fa, quando gli opposti estremismi intendevano polarizzare la società per assumerne il controllo, portando agli estremi la strategia della tensione. Gli assertori di un mondo arabo preda dei suoi demoni si devono ricredere. La percezione di quel complesso universo va rivista.Un anelito di libertà, a lungo covato, ha trovato finalmente le vie per manifestarsi: questi dieci anni non sono passati invano. I prossimi richiedono visioni nuove rispetto al 2001. C’è da capire, da accompagnare e da guardare con simpatia un mondo che cerca – con categorie culturali diverse dalle nostre – democrazia, libertà e diritti. E questi processi rappresentano la risposta migliore ai terroristi e la reazione più convincente alla cultura dello scontro e dell’odio propagatasi dopo quel tragico 11 settembre.
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