martedì 3 marzo 2009
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Da Repubblica, intervista a Maria Marion, una delle infermiere ac­canto a Eluana negli ultimi giorni. Il giornalista: «Qualcuno pensa che lei ab­bia concorso a un’eutanasia » . La Ma­rion: « Un termine che rifiuto, anzi per me nei confronti di questa ragazza c’è stato un accanimento terapeutico » . Dunque le suore che per tanti anni han­no dato a Eluana nutrimento e acqua, che l’hanno lavata e mille e mille volte voltata nel letto a evitare il decubito, si sono accanite su quel corpo. Si sono ac­canite, anche, ad aiutare Eluana a libe­rarsi dalla saliva che le ostacolava il re­spiro. Per quindici anni a Lecco c’è sta­to un pervicace, cocciuto accanimen­to: a una malata assente hanno dato nientemeno che da bere, e mangiare. Le han liberato la gola dalle secrezioni, cosa del tutto normale in pazienti im­mobili e incoscienti. Da una intervista della stessa Marion al Corriere emerge che quando Eluana è arrivata a Udine, nessuno sapeva a che servissero quelle pile di bavaglini mandati da Lecco. E sì che una che fa l’infermiera da 35 anni certe cose dovrebbe averle viste. Stu­pore invece: a che serviranno mai i ba­vaglini? La saliva fa tossire Eluana, la tosse espelle il sondino. Quando Avve­nire scrisse di quei colpi di tosse, alcu­ni scrissero: favole. E invece la verità delle ultime ore della Englaro dice di volontari colti di sorpresa dalla donna che stenta a respirare. Penosissima ve­rità: Eluana ha passato i suoi ultimi gior­ni nell’abbandono di quelle mani che conosceva e la amavano, che sapevano mantenerne limpido il respiro. Quan­do la disidratazione ha fatto il suo la­voro – « Chiazze rosse sulla pelle, tem­peratura alta » – l’équipe è rimasta a os­servare il precipitoso decorso di una morte « naturale » . Ma non basta ancora. Non è eutanasia, si afferma, quel tagliare acqua e cibo, ma è « accanimento » , invece, l’averlo per anni dispensato. Al partito della morte non basta di avere sepolto Elua­na; l’obiettivo è più ambizioso, è il ro­vesciamento, la sovversione anzi, della realtà. Dare acqua e cibo e lavare un ma­lato inerte, si chiama « accanimento » . Non è una questione linguistica. È im­portante, il nome che si dà alle cose. Hannah Arendt nella Banalità del ma­le spiega come il nazismo abbia evita­to accuratamente di usare la parola « sterminio » circa la eliminazione degli ebrei. L’ordine era di parlare di « solu­zione finale » . Suonava meglio, e qual­cuno poteva fare finta anche di non a­ver capito. Le parole, sono importanti. Attribuire alle suore di Lecco un « acca­nimento terapeutico» – ma il padre, per­ché tanto a lungo ha lasciato loro la fi­glia? – è sovvertire la realtà di ciò che è stato. Dire che a Udine « non è stata eu­tanasia » è altrettanto mendace – se non per il fatto che eutanasia è soppressio­ne del consenziente, e Eluana non ha mai espresso un positivo consenso alla sua morte. A Udine la morte è stata data attiva­mente, sopprimendo ciò che è vitale al­l’uomo. Giuliano Ferrara ha scritto che allora un’iniezione sarebbe stata un ge­sto più franco. Già, ma un’iniezione sa­rebbe stato aperto omicidio, e questo oltre a essere illegale avrebbe mostrato a tutti come la fine di Eluana « natura­le » non fosse per niente. E invece « na­turalmente » doveva morire: di fame e sete, naturalissima morte. Manca la per­fezione dell’opera: convincerci che ac­canimento è stato quello delle mani di tre suore, per quindici anni, a lavare e vestire e carezzare. Ogni giorno, ogni o­ra, ogni minuto. Il darsi più totale e gratuito si vuol chia­mare « accanimento terapeutico » , in questa Italia a forza liberata. Ma perché il rivoltarsi contro chi ha solamente da­to? Si direbbe che il pensiero unico ni­chilista non tollera il bene gratuito. Pro­prio non lo sopporta. Forse perché lo avverte, della sua ansia di nulla, radi­calmente nemico.
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