mercoledì 23 ottobre 2013
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È una storia shakespeariana, o dickensiana, quella che la cronaca ci presenta oggi in Ungheria. Shakespeariana perché un uomo si accorge di avere nel suo sangue l’identità che ha sempre combattuto e disprezzato, e in nome di questa si mette in guerra con il se stesso, con la maschera, il personaggio, che è stato fino a ieri. Dickensiana perché si inscrive nella tradizione del "Racconto di Natale" di Charles Dickens, la storia dell’uomo che miracolosamente si converte dal male al bene.Una storia che accade in Ungheria, paese con un governo ultraconservatore e la presenza di un fortissimo partito neonazista; Csanad Szegedi era il numero due di tale partito, lo Jobbik, politico carismatico, trascinatore di folle. Tra i propagandisti antisemiti più accaniti, Szegedi alla fine scopre di avere origini ebraiche. Ricerche e voci diffuse ad arte dai suoi avversari nel partito. L’uomo anziché evitare vuole andare a fondo: come racconta molto chiaramente, scopre che suo nonno aveva detto alla figlia (sua madre) adolescente, che la sua prima moglie e i figli erano morti ad Auschwitz. Certo di una prossima persecuzione, aveva deciso che le radici ebraiche della famiglia dovevano restare un segreto assoluto. Il nonno lo disse anche all’uomo che sposava sua figlia, che per ragioni che solo Shakespeare saprebbe spiegare, non solo mantenne il segreto, ma divenne subito un facinoroso antisemita. Il piccolo Csanad nacque in quel clima, fu iniziato ad antisemitismo e razzismo fin dall’infanzia. Poi la brillante carriera politica, il seggio di europarlamentare, i comizi deliranti di odio razziale che ora ricorda, scusandosene. Subito, appresa la realtà, si rivolse a un rabbino di Budapest, cercando di coinvolgere il padre, che rifiutò: una trama da Shakespeare, con il padre che difende la maschera efferata di ciò che volle in se stesso e in suo figlio, e un uomo di religione che comprende, media, aiuta.Attenzione a non cadere in una lettura semplificata, "buonista", del cattivo che si converte al bene. Potrebbe essere questa, una storia a lieto fine, e ci farebbe piacere.Ma potrebbe non convincerci fino in fondo pur meritando comunque rispetto: se Szegedi, scoperto di essere ebreo, avesse provato dispiacere per avere insultato la sua tribù, i giudei, e riscoperto all’istante l’orgoglio di appartenere a quella tribù, ci troveremmo di fronte a un caso di coscienza rispettabile, ma modesto sul piano etico. Il fatto è che, scoprendo di essere ebreo, ha rinnegato non solo l’oltraggiatore di ebrei, ma l’oltraggiatore di rom, moldavi, di quasi tutto il mondo che non fosse ungherese, scrive, e anche di una buona parte dell’Ungheria. Ha rinnegato l’odio e il razzismo. Si è vergognato di avere invitato all’odio contro bambini rom. Scoprendosi e accettandosi ebreo, si è di colpo trovato della tribù dei giudei e della tribù degli uomini, che coincidono, e convergono nella natura umana da cui tutte le tribù hanno origine, per celebrare la nascita dell’uomo con la meraviglia delle differenze, religiose, culturali, artistiche, gastronomiche.Ecco, qui il buon Scrooge-Szegedi, che finora ha meritato voti tra l’8 e il 9, nei vari campi, qui un po’ cade. Nonostante la pratica religiosa con la comunità ebraica, che l’ha accolto con comprensibile diffidenza all’inizio (vorrei vedere…), e poi con ammirabile amicizia, nonostante la frequentazione del rabbino mentore Slomo Koves, qui diamogli un 6 di incoraggiamento ("di stima", dato il passato, mi pare eccessivo). Incontra particolari difficoltà con l’alimentazione kasher, a cui si adatta con fatica: quella ungherese è molto migliore, borbotta, e in questo resiste in lui il nazionalista. Il tempo dirà chi sia da oggi Csanad Szegedi. Per ora, da come recalcitra a tavola, abbiamo un’ulteriore prova che è un uomo, e questo, come inizio, non è male.
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