Il nemico è dentro. E l’odio fa solo perdere tutti
domenica 22 ottobre 2023

I fatti atroci di Israele e di Gaza continuano a scuotere, indignare e interrogare. Ma rendono lo sguardo più acuto. Ora servono tutta la possibile chiarezza e coraggio

Caro Marco Tarquinio, sono un vecchio nato nel 1940 e vissuto in una Napoli distrutta dai bombardamenti, umiliata dalla miseria, mortificata dalla fam e e lacerata da migliaia di vittime in Israele e in Palestina che insieme ai milioni di morti in tutto il mondo pagarono con la vita le diaboliche ambizioni di leader esaltati. Ho pochi studi, ma la passione per la lettura e l’amore per la poesia mi hanno tanto aiutato. Naturalmente vivendo nei vicoli e nelle strade di Napoli, la “prima lingua” che ho imparato e parlato è stata il dialetto. L’ho amato, lo amo e lo amerò sempre perché continua a essere, visto che vivo a Catania, il cordone ombelicale che mi tiene legato alla mia adorata terra di origine aiutandomi a vedere nel Creato il grande Poema scritto da Dio. Purtroppo, le tragedie dei recenti conflitti risvegliano in tutti noi vecchi i terribili avvenimenti che sconvolsero le nostre vite di fanciullini e giovanetti. Le orrende immagini dei bambini sgozzati in Israele e la tragica distruzione dell’ospedale di Gaza con oltre cinquecento morti, molti erano bambini, hanno reso realtà l’inimmaginabile! Ancora una volta la fragilità dell’animo umano permette al demonio di uscire vittorioso. E questo accade perché la Pace viene costruita sulla sabbia, mentre tutti dovremmo scolpirla nella roccia! Io, vecchio scugnizzo napoletano, la penso così: «Pace! Nun ’a screvimmo / sulo ’ncopp’ ’e giurnale / e ’ncoppa ’e manifeste, / nun ’a pittammo ’nfaccia ’e mmure / tanto pe’ scrivere quaccosa / o pe’ nguacchia’ ’nu muro miso a nnuovo. / Pace! Screvìmmela, stampàmmela / ‘ntagliàmmela e pittàmmela int’ ’e core / ausanno na pittura /ca nun se scagna maie, / chella pittura eterna / ca sanno rializza’ sultanto ’e core / nate pe’ vulé’ bene overamente! / Sulo accussì /p’ ’o munno sarrà Pace, / sulo accussì, sicuramente!».
Raffaele Pisani

Gentile Tarquinio, la strage di Hamas del 7 ottobre non si comprende, non si giustifica. Ogni azione criminale e terroristica è la negazione dell'umanità e della politica, interrompe ogni forma di dialogo, danneggia la causa palestinese. L'operazione di terra israeliana metterà a dura prova i civili, che non hanno vie di fuga e di rifugio: una tragedia nella tragedia. È importante porre fine alla spirale di odio e rimettere al centro la soluzione dei due Stati. Come Israele anche la Palestina ha diritto a esistere come Stato autonomo e indipendente. Non c'è alternativa alla convivenza reciproca tra i due popoli. Possiamo solo sperare che nell'immediato e nel futuro prevalgano nei due Paesi leader determinati a collaborare, a isolare il fanatismo delle frange estremiste, a mettere fine ad un conflitto che dura dal 1948. È la buona volontà che è mancata e manca dall'una e l'altra parte. Senza di questa difficilmente arriverà la sperata pace.
Domenico Mattia Testa

Gentile Marco Tarquinio, lei ha dimostrato grande lucidità e intelligenza quando dirigeva “Avvenire”, sa che non sono sempre d’accordo con lei e sa anche che la stimo. Oggi nella difficile situazione che stiamo vivendo le pongo alcune domande per una chiarezza terminologica e politica. 1) È vero o no che gli ebrei hanno abitato la Palestina fin dai tempi di Abramo e Davide e qualcuno di loro non l’ha mai abbandonata? 2) Perché i cristiani che vivono a Gerusalemme hanno avuto bisogno di essere aiutati già al tempo di San Paolo e lo sono tuttora? 3) Quando certi manifestanti inneggiano a “Palestina libera” alludono a “Due stati per due popoli” o alla “cancellazione di Israele”? In tempi difficili, insisto, la chiarezza è necessaria.
Francesco Zanatta


«Il nemico è dentro». Dentro di noi. Diceva bene un lettore, di recente, a proposito dell’origine della catena dell’odio che stringe persone e popoli e che si fa atti di guerra, di terrore, di esclusione e rifiuto. Così come dicono bene i lettori Testa e Pisani (questi anche con la sua appassionata poesia in napoletano). E quante volte ce lo siamo sentito dire da uomini e donne sagge, quante volte ce lo siamo detto e ridetto. Eppure quel veleno, l’odio, continua scorrere nelle vene del mondo e della nostra stessa società. Il “nemico dentro” lo proiettiamo sul volto dell’altro o dell’altra, persino dei bambini, lo facciamo coincidere col loro corpo che possiamo e, addirittura, dobbiamo umiliare e abbattere in piccole e grandi guerre “giuste” o in qualche maniera “giustificate”. Anche se con lui, con lei, con loro abbattiamo la nostra umanità. E non ci rendiamo quasi più conto che le reciproche scelte di armarci sino ai denti per l’offesa (sempre preventiva) o per la difesa (ovviamente legittima) custodiscono, aumentano e organizzano l’odio. L’esatto contrario dell’impegno corale a «organizzare la speranza», al quale spronava don Tonino Bello, e a realizzare la solidarietà o anche solo quel semplice rispetto e quel “buon vicinato” che disarmano i pensieri e le mani e fanno vivere in pace.

Il nemico è dentro. E così l’intossicazione dell’odio non si ferma, persino dilaga, e da ogni parte in lotta si tollerano sempre meno le obiezioni di ragione e di coscienza allo scontro. Sempre più spesso e contemporaneamente, però, siamo costretti a fare i conti, con sgomento, indignazione e quasi incredulità, con guerre aperte e addirittura rivendicate, che non possiamo far finta di non vedere. Almeno fino a che un altro braciere bellico, più o meno vecchio, torna a incendiarsi violentemente. Così è stato con la Russia, l’Ucraina e l’Occidente (quello che anche noi europei e italiani siamo). Così è ora con israeliani e palestinesi, in una terra che è Santa per tanti e che per tutti rappresenta un luogo unico e che unisce al cielo. Ci concentriamo per un po’ sull’ultimo orrore, mentre gli altri orrori continuano e nemmeno diminuiscono di intensità. Eppure, dovremmo capire che proprio questo sguardo intermittente e spesso rissoso sui conflitti in armi (e non solo su quelli) esercitato dalla comunità internazionale e dalle opinioni pubbliche nazionali è una forma di complicità e sta accelerando, come papa Francesco continua a ripeterci con dolore, la saldatura dei pezzi della «guerra mondiale a pezzetti» che infuria da decenni e che lui stesso aveva aiutato a riconoscere. Bisogna averlo chiaro e credo che questa sia la chiarezza che ci è maggiormente necessaria.

Non voglio sottrarmi, tuttavia, alle domande che ancora una volta il lettore Zanatta mi pone, elogiando a sua volta la virtù della chiarezza.

Alla prima domanda la risposta è che il rapporto tra il popolo ebraico e la terra che oggi chiamiamo Israele e Palestina è evidente e straordinario e ha resistito a guerre, persecuzioni, follie e diaspore. Aggiungo, però, che nella discendenza di Abramo di Ur, padre dei credenti in Dio, ci sono ebrei, cristiani e musulmani e che «l’uomo che seguì la voce» è considerato il capostipite del popolo ebraico e del popolo arabo. E non dimentico mai che per noi cristiani non c’è dubbio che Gesù, Figlio di Dio e figlio dell’uomo, è anche figlio di Davide. Tutto ciò aiuta a capire perché, superando errori e incomprensioni che nei secoli hanno generato sofferenze e ingiustizie, oggi non solo singolarmente ma anche come Chiesa, sentiamo e riconosciamo gli ebrei «fratelli maggiori» (Giovanni Paolo II) o «padri» (Benedetto XVI) nella fede. E perché prima ancora perché papa Pio XI di fronte alle leggi e alle azioni antisemite del nazifascismo dichiarò i cristiani di ogni dove «spiritualmente semiti». Le nostre storie sono specialmente intrecciate: non ci salveremo da soli e se tradiremo ancora la nostra fraternità, continueremo a tradire Dio.

La seconda domanda pone la questione del sostegno che la comunità cristiana di Gerusalemme ha via via ricevuto sin dalle origini. Penso che questa condizione povera sia un segno eloquente e prezioso, e penso che sia bene ricordare che le “sorgenti” - e la Chiesa di Gerusalemme è la primissima sorgente della Chiesa universale – sono sempre piccole e spesso nascoste e vanno custodite con cura.

Ritengo infine, terza e ultima domanda, che coloro che manifestano solidarietà alla popolazione palestinese di Gaza e della Cisgiordania inneggiando a “Palestina libera” vogliano in stragrande maggioranza che si realizzi la promessa mai mantenuta da 75 anni di dar corpo alla soluzione “Due popoli, due Stati”. Ma so pure che fazioni palestinesi e alcuni loro alleati, al pari di tutti coloro, anche israeliani, che ritengono impossibile la convivenza israelo-palestinese e concretamente manovrano o, peggio, tramano per farla saltare, congiurano alla “cancellazione dello Stato d’Israele”. E questo che lo gridino o meno, che ne abbiano o non ne abbiano intenzione e persino che abbiano l’intenzione opposta. L’odio che genera il disprezzo per la vita e i sentimenti altrui è sempre di fatto alleato di ogni altra forma d’odio, a cominciare da quelle speculari e opposte. E senza la coraggiosa e paziente costruzione della pace, una pace giusta per tutte le parti coinvolte, si ripeterà ancora il disastro che ci hanno mostrato e ci mostrano tutti questi anni di guerra capaci di produrre soltanto nuove guerre, infinite vittime e rischi sempre più grandi.

Sì, il nemico è dentro. E in realtà l’odio non vince, fa perdere tutti.





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