mercoledì 14 marzo 2012
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Il nuovo governo spagnolo presieduto da Mariano Rajoy del Partido popular ha impostato una ambiziosa e complessa manovra di politica economica per contrastare una situazione assai pesante. Quello che suscita interesse nella sua iniziativa è il tentativo di tenere insieme l’obiettivo di risanamento dei conti pubblici (che segnavano a consuntivo del 2011 un deficit superiore all’otto e mezzo per cento, mentre l’esecutivo socialista di Josè Luis Rodriguez Zapatero si era impegnato a contenerlo al sei per cento, e un tasso di disoccupazione terrificante che arriva al 24 per cento), con uno sforzo per rianimare l’economia e promuovere la crescita economica. Così, insieme a misure di austerità 'classiche' basate sull’aumento delle tasse e il contenimento delle spese dei ministeri e delle autonomie locali, ha avviato una riforma del mercato del lavoro che riduce quasi alla metà le indennità di licenziamento, contro la quale è stato proclamato uno sciopero generale, e un intervento di apertura di credito di ben 35 miliardi destinato a consentire alle amministrazioni pubbliche di pagare i debiti con i fornitori. Rajoy ha spiegato che miliardi di crediti non onorati creano per le imprese un circolo vizioso, perché naturalmente chi non viene pagato non paga a sua volta i suoi creditori, e che questo fenomeno a catena porta a fallimenti e quindi a perdita di lavoro, di produzione e di occupazione. Lo stesso accade anche in Italia, dove i debiti arretrati delle pubbliche amministrazioni sono valutati dallo stesso ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, attorno ai cento miliardi. Da noi sono stati sbloccati solo sei miliardi (ma di effettivi pagamenti, non di credito disponibile, il che è nettamente meglio), che sono comunque un segnale significativo, ma forse bisognerebbe cercare di agire con più decisione in uno dei pochi comparti che possono avere un effetto immediato sulla ripresa economica. Le autorità europee sembrano aver compreso il valore delle riforme avviate dalla Spagna, il che le ha indotte ad accettare anche uno scostamento negli impegni per il deficit del 2012, che sarà superiore di un punto a quello su cui si era impegnato Zapatero. È un’eccezione alla prassi di rigore quasi ossessivo imposta soprattutto dalla Germania. Si tratta del primo effetto visibile dell’impegno europeo per la crescita ed è interessante osservare che nasce dalla considerazione per le riforme impostate in modo realistico. Naturalmente bisognerà vedere la reazione dei mercati, che hanno premiato di più l’Italia, con una più rapida riduzione del differenziale di rendimento dei titoli pubblici, che infatti da un paio di settimane sono inferiori a quelli spagnoli. La capacità di intervenire con riforme strutturali da parte dei Paesi europei erroneamente e quasi irrimediabilmente considerati da qualcuno 'periferici' come Italia e Spagna cambia la fisionomia politica del sistema delle decisioni comunitarie, dà un peso corrispondente alla loro importanza a nazioni che hanno il maggiore interesse a promuovere la crescita e che ora hanno riacquistato autorevolezza. Se si vuole concludere la fase non certo felice della guida franco­tedesca, ci vuole coraggio nell’innovazione e fiducia nel sistema delle imprese, che se non sarà più strozzato dalla chiusura del credito e dalla morosità del debitore pubblico, potrà ritornare ad essere com’è stato per decenni, il motore della ripresa. 
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