Giorno del Ricordo, ciò che si deve sempre e prima di tutto alle vittime
mercoledì 10 febbraio 2021

Caro direttore,
mi ha colpito molto la scelta di 'Avvenire' di dedicare spazio, in occasione della Giornata della Memoria delle Vittime dell’Olocausto (27 gennaio), alla poesia di Evtushenko 'Babij Yar'. Non che non lo meritasse, tutt’altro: è una poesia bellissima e commovente. Ma il fatto è che si tratta di una commemorazione del tutto atipica. Il poeta sovietico, anziché puntare il dito contro i nazisti esecutori del massacro – come sarebbe stato del tutto legittimo – sceglie la via più difficile: identificarsi non solo con le vittime, ma in qualche modo con i loro persecutori. Nella poesia si ricordano infatti i Pogrom antisemiti della Russia, anche se zarista; e non era difficile, per le autorità sovietiche, cogliere le allusioni al trattamento, diciamo così non sempre amichevole, che la 'Repubblica dei Popoli liberi' riservava alla stirpe di Abramo. E in effetti Evtushenko fu aspramente criticato per questa sua opera, nientemeno che dal segretario del Pcus. Sappiamo bene quali conseguenze potessero avere certe critiche, e non solo sulla carriera letteraria. La lezione di Evtushenko è molto attuale. Infatti, nelle nostre commemorazioni troppo spesso il sentimento di pietà per le vittime – e men che meno, l’esame di coscienza (della propria, non di quella altrui!) – passa in secondo piano, e quel che è peggio, non manca chi utilizza le sofferenze delle vittime di allora come argomento per sbandierare le proprie idee di oggi. In tal modo, le commemorazioni, che nascono per unire – nel nome della comune appartenenza alla razza umana, vero bersaglio di tutte le persecuzioni – finiscono per risultare divisive; e anziché celebrare la fine delle guerre passate, diventano pretesto per conflitti sempre nuovi. Ad esempio, il Giorno del Ricordo delle Foibe, che si commemora il 10 febbraio, potrebbe stimolare utilissime riflessioni, su come mai gli italiani 'brava gente' abbiano potuto simpatizzare per regimi disumani, come quello fascista o come quello titino; su come la cosa potrebbe succedere ancora; su cosa bisogna fare per vegliare su sé stessi affinché non succeda più; e così via. Invece assistiamo a dibattiti surreali – da una una parte chi vorrebbe vedere la tragedia delle Foibe come un improbabile contrappeso ai lager nazisti, dall’altra chi vorrebbe derubricarla a una punizione, tutto sommato meritata, ai 'fascisti'. E poco importa se minimizzare i crimini avvenuti nella ex-Jugoslavia porta acqua al mulino non di Tito (che non c’è più), ma degli attuali ultranazionalisti delle nazioni balcaniche, i quali, oltre a essere tutt’altro che un modello di compassione umana, si trovano dalla parte opposta dello spettro po-litico, di quella che i negazionisti delle Foibe si illudono di sostenere. Per fortuna, una parte sempre crescente di nostri concittadini sa vedere queste commemorazioni nel modo giusto. Con l’occasione ringrazio 'Avvenire', che su questo tema ha insistito da sempre, non di rado prendendo – come Evtushenko – posizioni scomode.

Luca Fabri Genzano di Roma

P.S. So che gli 'allenatori', non amano parlare dei singoli, invece che del collettivo; ma sono certo che lei, direttore, vorrà perdonarmi, riguardo al Giorno del Ricordo, una menzione per Lucia Bellaspiga, che da sempre si spende con impareggiabile energia per difendere la verità.

Caro direttore,
in occasione del Giorno del Ricordo desidero ricordare con il santino che le invio, risalente alla Pasqua 1955 non solo mia mamma Albina e mio papà Gabriele Italo, ma tutti i loro amici, tutti i profughi da Fiume, da Pola, da Zara, dall’intera Istria che hanno lasciato ogni cosa e sono stati raccolti nei campi profughi. I miei hanno vissuto nel campo profughi 'Cordellina' a Vicenza. Sul santino si legge 'Pace a questa Casa!' ma non era una casa era solamente uno spazio chiamato Box e le pareti erano fatte da coperte appese... Non voglio che quella dura vita venga dimenticata, voglio che anche i nostri figli e i nostri nipoti sappiano dei sacrifici fatti dai loro nonni e conservino storia e tradizioni. Sono nata a Vicenza, ma ancora oggi, anche in questa mia città, qualcuno si stupisce del cognome che orgogliosamente porto e chiede 'dove sei nata?'. Pace alle nostre case, allora, e il Padre onnipotente continui a custodirci anche in questi tempi nuovamente difficili. Vi ringrazio e mi complimento per il vostro prezioso lavoro con un timido consiglio agli amici lettori e lettrici: non buttate mai 'Avvenire', e fate come me: il giorno dopo passatelo a un vicino, a un anziano, a un ammalato... è un giornale pieno di articoli belli e interessanti anche dopo qualche giorno!

Mariagrazia Stepancich Vicenza

Da quando dirigo 'Avvenire', in occasione del Giorno del Ricordo dedico sempre nel mio quotidiano dialogo coi lettori uno spazio speciale per i testimoni e i figli della diaspora degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia e della tragedia degli infoibati dai comunisti titini. Quest’anno ho deciso di consegnarlo interamente a due sole lettere. Quella densa ed elegante di Luca Fabri, che non mi sono sentito di tagliare, e nella quale trovo riflessioni che condivido profondamente e che ho sviluppato, a mia volta, su queste colonne e altrove. E quella consapevole e luminosa che Mariagrazia Stepancich mi ha inviato con le fotografie, fronte e retro, del 'santino del ’55' dedicato a Gesù «amante della anime» che accompagnano queste nostre righe. Dico grazie a entrambi. E sottolineo, a mia volta, lo splendido lavoro che da anni la collega Lucia Bellaspiga fa anche su questo fronte moralmente e storicamente urgente e troppo a lungo scomodo e perciò disertato da troppi. Non ho problemi ad annotarlo, per Lucia come per altri colleghi e altre colleghe. Sono un allenatore-giocatore che ama il gioco di squadra, come intuisce bene il signor Fabri, ma che è immensamente felice della stima e del successo ottenuti dai campioni e dalla campionesse che rendono bello 'Avvenire' e contribuiscono a far sì – mi ha davvero emozionato il modo in cui questo viene detto dalla signora Stepancich – che il risultato del nostro comune impegno di giornalisti 'regga' anche al passare dei giorni. Un pensiero speciale, infine, per tutte e tutti coloro che non hanno potuto vedere il Giorno del Ricordo realizzato e hanno vissuto in solitudine, e con un sovrappiù di sofferenza, memorie dure eppure intangibili. A tutti, anche ai negazionisti, anche a chi vorrebbe più luce sui misfatti dei fascisti italiani e dei loro alleati nelle terre balcaniche, ricordo ancora una volta che nessun misfatto ne giustifica in qualsiasi modo altri e che il dovere solidale a cui non dovremmo mai sottrarci è semplicemente e umanamente quello di misurarci sempre e prima di tutto, con occhi sgombri, con la verità delle vittime.

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