Il giornalismo meta per la libertà
martedì 5 febbraio 2019

«La conoscenza ci dà potere». «Sapere ci aiuta a decidere». «Conoscere ci libera»: è la voce narrante dell’attore Tom Hanks a declamare le tre frasi chiave dello spot andato in onda durante la finale del campionato di football americano, l’altra notte ad Atlanta: 60 secondi costati oltre 5 milioni di dollari al Washington Post, il primo spot di un quotidiano nella storia del SuperBowl e rilanciato dai siti di tutto il mondo per la sua forza espressiva. La democrazia muore nell’oscurità, è lo slogan finale, lo stesso che costituisce il motto del giornale che illuminò i Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate che portò alle dimissioni Nixon (a proposito: Tom Hanks interpretava proprio il direttore di Ben Bradlee nel pluripremiato film del 2017 The Post).

Non è certo una novità che l’informazione libera e indipendente formi i cittadini, fornisca gli strumenti per compiere scelte consapevoli e stare nel mondo da protagonisti. Non è una novità, ma è tanto più vero in un tempo in cui le fonti di informazione si sono moltiplicate e l’autorevolezza conquistata sul campo persino da testate secolari è quotidianamente messa in discussione. È un fatto che nell’opinione pubblica prevalga un’immagine negativa dei giornalisti, e talvolta, duole dirlo, non completamente a torto. Troppo spesso la quantità dell’informazione uccide la qualità e la breaking news a tutti i costi, tipiche dei siti internet, appiattisce lo spessore dei fatti e nega la loro complessità. Ogni qualvolta viene pubblicato un titolo fazioso, volgare, razzista o violento, oppure una notizia non viene verificata a sufficienza, si assesta un piccolo colpo di piccone alla reputazione e alla credibilità dell’intera categoria dei giornalisti.

Secondo una profezia ormai arcinota, l’ultima copia di carta del New York Times sarà pubblicata nel 2043. In fondo, però, si tratta di un tema già superato. L’informazione non è meno informazione se viene veicolata attraverso canali diversi dalla carta. Quel che davvero conta è che non scompaia il giornalismo, inteso come strenuo attaccamento ai fatti, alla loro verifica, al loro racconto e alle loro possibili spiegazioni. Come mediazione tra ciò che accade, il suo senso e i lettori-utenti. I gruppi editoriali più avanzati, e lo è certamente il Washington Post di Jeff Bezos, proprietario anche di Amazon, così come l’eterno rivale New York Times (e altre testate di valore nel pianeta), hanno trovato il modo di scavallare la crisi epocale dell’editoria differenziando i canali di distribuzione e le fonti di ricavo, ma tenendo fermo quello che conta. E cioè la professionalità e l’indipendenza dei giornalisti, la ricerca del senso delle cose, lo sguardo aperto sul mondo, la verifica attenta e lo spirito critico. Quello spirito che porta a non accontentarsi della versione fornita dai potenti, a cercare ancora e ancora il significato di ciò che accade ogni giorno, a dispetto delle sollecitazioni dell’«usa e getta» dell’informazione. Quello che cercano di fare, nel clima di generale disaffezione nei confronti dei giornali che si constata pure in Italia, testate come Avvenire. Questo – e lo spot del SuperBowl ce lo ricorda – è l’essenziale del giornalismo. Come e dove esso viene espresso, non conta: se sia su carta – perché il giornale di carta non sparirà: sarà diverso, ma resisterà – o sul digitale.

Il giornalismo libero e indipendente però costa: se si vogliono raccontare i fatti, occorre esserci. Anche e soprattutto nei posti più lontani, in cui si combattono guerre che non fanno notizia e il grido di chi soffre non buca l’indifferenza del resto del mondo. Costa non solo all’azienda ma purtroppo talvolta anche a chi lo esercita: nello spot del SuperBowl scorrono i ritratti di Marie Colvin, morta nel 2012 sotto i bombardamenti a Homs, e di Jamal Kashoggi, fatto a pezzi lo scorso ottobre nell’ambasciata dell’Arabia Saudita a Istanbul. Costa, dunque, e occorre che chi fruisce di un’informazione di qualità ne riconosca il valore e ne paghi il corrispettivo. A questo ci richiama, in definitiva, il potente spot del Washington Post: informarci ci rende cittadini più liberi, più consapevoli e più capaci di giudicare chi decide al posto nostro. Ma non può essere a costo zero. Per nessuno.

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