Casi dolorosi, senso di un servizio
sabato 17 febbraio 2018

La Chiesa non è nostra, è del Signore Gesù. Ma di questa Chiesa siamo parte. E questa Chiesa dobbiamo avere a cuore se davvero amiamo Dio e i fratelli. Come in tutti i consorzi umani, anche nella Chiesa ci sono santi e peccatori. Insieme al Signore morto e risorto per noi possiamo fare cose grandi; senza di Lui, il fascino perverso del peccato può conquistarci, e questo di fatto accade a tutti: credenti e non credenti. La vita di fede è una battaglia, una lotta per rimanere fedeli a Dio, alla parola data, alle promesse fatte; per resistere alla tentazione dell’egoismo e della vanagloria. Nella Chiesa alcuni sono stati chiamati alla vita sacerdotale. Una vita bella, interessante, fatta di servizio, di preghiera, di condivisione delle speranze e delle sofferenze altrui. Una vita per certi aspetti strana, o, meglio, originale.

Il sacerdote ha un ruolo determinante nella Chiesa. Il popolo lo percepisce come un punto di riferimento, un leader, uno che sta a capo, che ha studiato le Scritture. Una sorta di esperto, insomma, della vita spirituale. Uno di cui ci si può fidare; dal quale si va per chiedere aiuto, conforto, consiglio. Un uomo, il prete, che sull’Altare, in modo misterioso ma vero, è Cristo stesso. Un uomo, però, che rimane pur sempre un uomo, con i suoi limiti, le sue fragilità, il suo essere figlio del tempo che lo ha partorito. Nessuno lo ha obbligato a percorrere quella strada, nessuno lo ha costretto a prendere sulle spalle il giogo soave che Gesù offre a chi lo segue. Un prete non deve mai dimenticare che le sue parole, i suoi gesti, le sue scelte hanno un peso grande e terribilmente diverso dalle cose dette e fatte dai fratelli laici.

La stola che indossa, il sacramento ricevuto lo configurano a Cristo e da Cristo il popolo si aspetta sempre e solo amore, giustizia, perdono, comprensione. «Poni, Signore, una custodia alla mia bocca», prega il salmista. Una sentinella che sappia ricacciare indietro l’ira, le volgarità, la sete di vendetta, e mi incoraggi, invece, a dire parole di speranza, di vicinanza, di solidarietà. Parole profumate di Vangelo di cui tutti sentiamo nostalgia e bisogno. Ai fedeli il prete può e deve chiedere preghiere, sostegno, amicizia. Non può, non deve, con la sua condotta, confondere i semplici. Gesù è stato durissimo con chi scandalizza i piccoli. Il bene o il male che faccio oggi, si riverserà su tutti i miei fratelli e confratelli sparsi per il mondo. E io non voglio che qualcuno abbia a soffrire a causa della mia pochezza, della mia negligenza, della mia scarsa fede. Non sono un solista, sono un corista; sono parte della Chiesa «colonna e sostegno della verità».

Mercoledì scorso "Le Iene" hanno mandato in onda su Italia1 due servizi dolorosi. Uno riguardava un prete della mia diocesi che aveva consigliato a una famiglia di interrompere le cure mediche per la loro figliola affetta da patologia psichiatrica per affidarsi solo alla preghiera.

Credo che lo abbia fatto in buona fede, ciò non toglie che ha sbagliato, non avrebbe dovuto farlo. La fede autentica non teme la scienza, la medicina, le cure ma le ricerca, le chiede, le vuole. Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, nel prendere le distanze da questo modo arbitrario di fare, ha voluto ricordare le parole di san Giovanni Paolo II su fede e ragione, «due ali capaci di sollevare l’umanità». Addolorata per i disagi creati alla piccola paziente, alla sua famiglia, ai credenti, la Chiesa di Aversa ribadisce la sua vicinanza a chi soffre e chiede perdono.

Anche l’arcivescovo di Cosenza, Francescantonio Nolè, ha sentito il bisogno di chiedere perdono per un prete che avrebbe avuto una relazione con una ragazza della sua parrocchia e che in seguito ha abortito. Ancora una volta c’è chi sbaglia, chi deve arrossire il volto e correre ai ripari. Anche il presbiterio della Chiesa di Cosenza è amareggiato e addolorato. Non è giusto però generalizzare. Chi sbaglia, chiunque sia, non l’innocente, deve avere il coraggio di farsi avanti, assumersi le proprie responsabilità, chiedere umilmente perdono, accettare di pagare per gli errori commessi, e, per quanto possibile, rimediare in qualche modo.

Cristo è in agonia fino alla fine del mondo. È vero. La Chiesa, sua sposa, lo segue sulla via della croce. Nel condannare con fermezza questi ed altri abusi, chiediamo al Signore la grazia della fedeltà, della carità, della verità, per tentare di tamponare le sue ferite sanguinanti e lenire le sue sofferenze.

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