giovedì 31 gennaio 2013
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Caro direttore,
prendo spunto dalle opinioni degli emeriti giuristi Mirabelli e Quaranta riportate in interviste e articoli di Avvenire del 23 gennaio scorso. E dall’art. 54 della Costituzione, che parla di «disciplina e onore» per chi ricopre funzioni pubbliche. Sacrosanto, si tratta di questione di etica. Mi scuserà se mi permetto di dire che, personalmente, il fatto che un magistrato faccia il suo lavoro anche durante una campagna elettorale non mi scandalizza. Anzi – pur essendo sempre e comunque ancorato, come dobbiamo tutti essere, al principio della non colpevolezza dell’indagato/imputato fino a sentenza irrevocabile – ritengo che sia un elemento in più per gli elettori, per meglio decidere. Perché prima della (eventuale e non auspicabile a nessuno) responsabilità penale, c’è sempre e comunque una (doverosa) responsabilità politica.
Claudio Bindi, Montevarchi (Ar)
 
Credo che pochi ignorino quanto questo giornale abbia ricordato a chi sembrava averlo dimenticato l’articolo 54 della Costituzione (su "Avvenire" del 23 gennaio scorso evocato sia dall’attuale presidente della Corte Costituzionale Quaranta sia dal suo predecessore Mirabelli) e, dunque, il dovere di ricoprire con «disciplina e onore» ogni incarico pubblico. Per questo abbiamo valutato positivamente regole e scelte tese a proporre agli elettori "liste pulite" e per questo, con un editoriale di Danilo Paolini (22 gennaio), abbiamo sollecitato un totale impegno alla trasparenza da parte di tutti gli eletti nel prossimo Parlamento.
Detto questo, caro signor Bindi, la penso più o meno come lei e come il gran giurista Mirabelli: i magistrati non devono certamente andare in ferie durante le campagne elettorali. Ma, ancora come Mirabelli e – mi par di capire – a differenza sua, caro lettore, ritengo che il pm di un processo celebre che chiede di fissare la propria requisitoria (cioè il proprio "discorso" alla Corte e all’opinione pubblica) comunque prima del voto corra il rischio di fare un comizio o, in ogni caso, di passare per comiziante.
La mia opinione, per quel che vale, è che questo non giova alla causa della giustizia e non necessariamente aiuta gli elettori a meglio decidere, anzi. L’esperienza mi dice che persino sentenze solide e ben fatte non sempre aiutano a decidere, figuriamoci le requisitorie dei pm o le arringhe degli avvocati difensori...
Insomma, tanto per esser chiari: visto che parliamo del cosiddetto "processo Ruby" che coinvolge l’ex premier Silvio Berlusconi, visto che già si sa che non si andrà a sentenza prima del voto politico generale del 24-25 febbraio, visto che non si può certo dire che siano mancate informazione e contro-informazione su questo spinoso caso e sulle sue implicazioni, penso anch’io che un po’ di sano «distacco» tra il dibattito politico pre-elettorale e alcune fasi cruciali (e inevitabilmente spettacolari) del dibattimento giudiziario non sarebbe un lusso. E non impedirebbe affatto la libera e consapevole valutazione degli elettori italiani su qualità, dinamiche e protagonisti dell’attuale offerta politica.
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