lunedì 17 ottobre 2011
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Gentile direttore, ogni giorno registro gli alti lai dei mass media che evidenziano il fatto che lo Stato, per rendere appetibili i suoi titoli, debba pagare interessi che in alcuni casi sono arrivati al 5%, e lamentano il grave pericolo per l’indebitamento pubblico. Ma come mai questi quotidiani non dicevano una parola quando Bot e Cct avevano raggiunto interessi vicini al 20%? L’entità degli interessi la dice lunga sulla fiducia di cui godeva lo Stato all’epoca, ma non ricordo di aver letto che i governi di allora dovevano andarsene... O ero un lettore estremamente disattento?
Norberto Ferretti

 

Venti, tre, quattro, due, cinque… Certe percentuali cambiano nei mesi e negli anni, e magari qualcuno riesce persino a distrarsi. L’importante, gentile signor Ferretti, è che non ci distraiamo al punto di considerare con noncuranza un numero tondo eppure spigolosissimo: millenovecento miliardi. Quella cifra gigantesca delinea le proporzioni della montagna del debito pubblico italiano e, proprio venerdì, abbiamo saputo da Bankitalia che ad agosto, grazie a un piccolo e prezioso calo, si era attestata per l’esattezza a quota 1.899.553 milioni di euro. Questo vuol dire che la cima della montagna un po’ s’è ghiacciata e un po’ è stata erosa. Tuttavia la mole resta immane, e nei prossimi mesi promette di appesantirsi di nuovo a causa delle violente tempeste speculative scatenatesi in estate attorno ai nostri titoli del debito. Ogni altra cifra e percentuale (crescita, occupazione, tagli, interessi…) ha senso se non ci dimentichiamo di tutto questo. Non dobbiamo lasciarci schiacciare dalla montagna e dall’idea che non sia ormai più scalabile (e spianabile), ma non possiamo neanche consolarci. Il prezzo (e non è un modo di dire, ma un’altra montagnola di miliardi) che paghiamo per gli errori e le insufficienze accumulati non ci permette di fare sonni tranquilli, ma ci obbliga a lavorare di più e meglio per disincagliarci da un presente stagnante e per preparare un futuro degno ai nostri figli. Questo è l’unico “interesse” che chi governa deve saper servire e deve far crescere nel cuore e nella testa degli italiani. Si tratta di chiedere, ottenere e investire – con tenacia e lucido coraggio politico – una “fiducia” decisiva, che nessuna “conta” in Parlamento potrà mai certificare.

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