venerdì 22 aprile 2016
La "sospensione temporanea" dal gioco nei campionati del Centro sportivo italiano non è una novità e non è legata solo alle bestemmie. Serve ad educare i giovani allo sport. (Alessio Albertini)
Calcio, il Csi e il cartellino azzurro
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La scotomizzazione è un difetto della vista, un’area di cecità parziale o completa, all’interno del campo visivo. È uno sguardo che manca di una parte, a volte quella più importante. O al contrario, ma il risultato non cambia, che si focalizza esclusivamente su quello che si vuol vedere. È il caso di un cartellino azzurro esibito per sospendere a tempo un giocatore sui campi dei tornei Csi. Né giallo né rosso, come siamo soliti vedere, ma azzurro. Il colore dell’ideale e della lealtà di cui ama rivestirsi il cielo, la tinta inconfondibile del manto della Madonna. Assolutamente diverso dal giallo per dire che c’è una trasgressione che non può permettere di continuare la gara. Sicuramente altro dal rosso che suona come un verdetto inequivocabile: tu non giochi più! Il cartellino azzurro mostrato al giocatore vuole indicare una via da percorrere e non vibrare in aria come l’ascia del boia che esegue una sentenza. Questa è la scelta del Centro Sportivo Italiano. In una attività prevalentemente visiva, come il calcio, le infrazioni, i falli si segnalano con cartellini colorati. Davanti ad un fallo da sanzionare, l’arbitro prende dal taschino un cartellino e lo mostra al giocatore. In quel momento non dovrebbero servire parole, ma riconoscere il proprio errore. E qui entra in gioco la scotomizzazione di alcuni media e in particolare del Corriere della Sera, che nell’edizione di giovedì, in riferimento al Csi, ha titolato: «La bestemmia depenalizzata nei tornei cattolici». Sgombriamo subito il campo: il Csi non ha mai tollerato la bestemmia, ci mancherebbe... Non tanto perché è di «ispirazione cristiana» (e non tradizione cattolica), ma perché la bestemmia rende osceno chi la pronuncia. «Osceno» nel senso di fuori dalla scena, estromesso dal contesto, fuori luogo rispetto alla partita. Ecco perché con il cartellino azzurro si vuole allontanare per un tempo opportuno chi sta rovinando, o almeno non sta abbellendo, «il gioco più bello del mondo». Il Csi crede alla bellezza dello sport e, quindi, lo difende. Per questo, nella sua lunga storia, più di 70 anni, non ha mai voluto “battezzare” lo sport per farlo diventare altro, costruendo magari degli steccati per i più puri, per stare lontano dalle contaminazioni del mondo. Non sono richieste doti particolari per farne parte e neppure ci si appella a chissà quali riti religiosi per partecipare ai suoi campionati. Non esiste uno sport “cristiano”, ma esiste il cristiano che fa sport, con tutte le sue forze, le sue emozioni, la sua intelligenza e, soprattutto, la sua volontà. Può essere considerata una di quelle attività che stanno sulla soglia, di periferia, e possono raggiungere tante persone che con la Chiesa poco avrebbero a che fare, per ragazzi che non trovano ospitalità in campionati iperagonistici oppure per coloro che nello sport trovano un’occasione di riscatto e di integrazione. Una visone scotoma della realtà non fa caso che sui confini le lingue si mischiano, le culture si confondono, le coscienze si sgrammaticano. Il Csi non ha mai rinnegato, e neppure vuole farlo adesso, il suo alfabeto e la sua grammatica: i valori del Vangelo. Che non sono espressi come in un manuale, ma chiedono la fatica della traduzione nel qui e ora. Assumerli non è compito facile ed immediato, chiede pazienza, progressione e misericordia. Questa è l’azione educativa. Dal momento che ha come sua mission «educare attraverso lo sport», il Csi ritiene che si debba dare tempo a tutti per comprendere il meglio, offrire nuove occasioni per fare qualcosa di più, non giudicare inadeguato nessuno. Per questo ti chiede con un cartellino azzurro di fermarti un momento. Si chiama 'cromoterapia': medicina alternativa per crescere bene. *Consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano
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