Il caso Autostrade per l’Italia e molto di più
sabato 11 gennaio 2020

Cosa è giusto fare ora con Autostrade per l’Italia? Come dovrebbe agire il governo dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, che il 14 agosto 2018 ha provocato la morte di 43 persone, e dopo che una serie di altri incidenti minori stanno rafforzando il sospetto di gravi carenze nella manutenzione da parte della società concessionaria? Le ipotesi sul tavolo sono sostanzialmente due: la revoca della concessione ad Aspi oppure la revisione del contratto prevedendo tariffe più basse per i pedaggi e maggiori investimenti nelle infrastrutture. La via di una maxi multa resta possibile, ma in ogni caso sarebbe complementare. La partita non è semplice e le forze politiche sono divise, in una frattura che può mettere a rischio la tenuta del governo. Mentre il Movimento 5 Stelle chiede di revocare la concessione per tornare ad affidare le 27 tratte autostradali gestite da Aspi a una società a controllo statale, una parte del Pd e soprattutto Italia Viva preferirebbero "riscrivere" il contratto con il privato in senso più favorevole all’interesse pubblico.

A prescindere dalle diverse opzioni, tutti concordano sulla necessità di risolvere la questione in tempi brevi, per il dovuto rispetto alle vittime e per chiudere una pratica che sta congelando una parte importante dell’economia nazionale. Ogni ipotesi in campo è supportata da valide ragioni. La revoca della concessione sarebbe un atto politicamente legittimo. Anche senza dover attendere l’esito dell’inchiesta penale che dovrà appurare le responsabilità specifiche, le inadempienze nella gestione appaiono evidenti. E uno Stato che riprendesse il "controllo", anche in senso più ampio, alla luce dei fallimenti del "mercato", potrebbe segnare l’avvio di un processo a favore di una tutela più diretta dei beni pubblici, pure in altri ambiti.

D’altra parte, rivedere la concessione eviterebbe un complesso e costoso processo di trasferimento di lavoratori da Autostrade alla società che dovrà subentrare nella gestione, scongiurerebbe il fallimento di una grande società quotata, e mostrerebbe un altro tipo di forza dello Stato agli occhi di futuri possibili investitori in Italia, trasferendo l’immagine di un Paese nel quale l’interesse pubblico non è in contrasto con quello privato e, viceversa, quello privato non confligge con quello pubblico.

Proprio questo ultimo aspetto dovrebbe però invitare a una riflessione più ampia attorno al significato della parola "responsabilità" – valore richiamato con forza dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso di fine anno – e a come questa si declini nella dialettica tra pubblico e privato. La visione secondo la quale un’economia di mercato è popolata esclusivamente da soggetti privati senza scrupoli, mentre lo Stato è l’unico garante del bene comune e dell’interesse dei cittadini, non è del tutto aderente alla realtà.

Il cortocircuito della responsabilità si verifica sempre quando due fili sono scoperti, non uno solo. Le crisi creditizie degli ultimi anni dovrebbero avere insegnato che non ci sono territori completamente sani e istituzioni totalmente corrotte: quando la responsabilità viene meno, minando la fiducia, è perché anche il capitale sociale della comunità non è ai livelli più alti. Allo stesso modo il "concessionario" di un’opera o di un servizio pubblico può essere inadempiente a lungo, ma quando questo avviene, quasi sempre è perché anche l’amministrazione "concedente" lo ha permesso, non ha vigilato, ha ceduto, è stata fragile o sottomessa alla stessa logica distorta che ha generato il problema. Dunque se c’è un privato che dopo aver firmato un contratto vantaggioso per sé non ha servito in pieno l’interesse pubblico, si può considerare più affidabile chi quel contratto lo ha proposto e poi non ha saputo controllarne l’applicazione?

Questo discorso è importante perché la contrapposizione tra Stato-buono e privato-cattivo è la stessa che negli ultimi tempi ha spinto molti a guardare con sospetto anche alle realtà del privato sociale e alle organizzazioni animate dalla società civile, cioè a tutte quelle forme di impresa, profit o non profit, di presenza sociale, che invece sono garanti della libertà e della democrazia quando vengono chiamate a gestire opere o beni o servizi pubblici nell’interesse del Bene comune. La ricostruzione della fiducia e della necessaria tensione etica in un Paese è possibile solo se tutti i soggetti – i cittadini, la società civile, i privati e, nelle sue articolazioni, anche lo Stato – si assumono insieme e allo stesso tempo il compito della responsabilità cui sono tenuti.

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