domenica 27 giugno 2010
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Maria: non poteva che chiamarsi così. La conoscevo da anni, da quando andavo a predicare nella sua parrocchia. La vedevo seduta nei banchi, attenta, anche se ben poco poteva comprendere dell’omelia. Era malata di una malattia di cui non conosco il nome. Credo che sia rimasta vittima di uno di quei parti avvenuti in casa negli anni della guerra. Non parlava. Le parole sulle sue labbra si trasformavano in suoni gutturali e il sorriso in una smorfia. A stento riusciva a mantenere l’equilibrio, aiutandosi con larghi movimenti delle braccia. Aveva imparato a volermi bene e veniva volentieri in chiesa. Erano anni che non la vedevo.Un giorno, camminando a piedi, l’ho rincontrata. Ho avuto la tentazione di passare oltre, senza disturbarla, pensando che dopo tanto tempo, non si ricordasse più di me. Mi sono, invece, fermato, chiamandola scherzoso. Maria mi ha riconosciuto e la gioia che le ha invaso il cuore è stata grande e spontanea. Ha iniziato, a modo suo, a farmi festa, attirando l’attenzione di qualche vicina e raccontando loro della nostra amicizia. Mi baciava ripetutamente la mano, che teneva stretta fra le sue. Mi parlava di tante cose che non riuscivo a capire. I suoi occhi erano uno spettacolo da vedere: illuminati da una luce, da una gioia, invisibile a tutti, tranne che a lei.Poi mi ha quasi trascinato in casa. Ho capito che voleva mostrarmi qualcosa di importante. Seduta su una sedia a rotelle, c’era la sua mamma. A tenerle compagnia un’amica, anch’essa avanti con gli anni. Sono entrato scusandomi dell’intrusione improvvisa. E ho notato che la mamma parlava con la figliola senza difficoltà di intendersi: gli anni vissuti le hanno quasi fuse insieme. Nella loro casetta, minuscola ma dignitosa, hanno addobbato un vecchio comò ricavandone un altarino dove troneggiano Santi e Madonnine di cui vanno fiere. La mamma era serena nella sua immobilità. Siamo rimasti insieme per diverso tempo, parlando di tante cose e anche di Maria. Alla fine ho salutato le due vecchie signore, mentre Maria mi prendeva la mano per riaccompagnarmi all’uscita. La sua gioia era proprio grande, quella mattina. L’ho abbracciata ancora prima di tornare sui miei passi.Ripenso a lei mentre mi preparo per la Messa. Rivado con il pensiero alle beatitudini. Per nove volte Gesù ci dice chi sono i beati. Per altrettante volte facciamo fatica a comprendere perché sono beati i poveri e gli afflitti; perché occorre essere miti e misericordiosi. La vita è un mistero che non riusciamo a comprendere, se non a piccoli tratti. Ci sono verità che possiamo intuire e mai spiegare. Ci sono mete a cui si arriva pensosi, meditabondi e con umiltà, sennò si sottraggono al nostro indagare. Noi non riusciremo mai a spiegare il motivo della sofferenza e del dolore. Io non saprei dirvi perché il Dio in cui credo ha permesso, forse per un errore di una vecchia ostetrica, che la donna incontrata, dovesse rimanere per tutta la vita in una condizione simile.Una cosa so, ed è che Maria riesce a gioire per qualcosa che a noi dice poco o niente. Un incontro. È bastato un incontro e la sua giornata si è illuminata. E io posso dire di aver trovato, in questa donna sofferente, una maestra nella sacra arte della vita. Ho compreso che saranno i poveri a salvare il mondo, perché ancora capaci di meraviglia e di stupore. In questo nostro tempo che tutto consuma in fretta, la sua gioia e il suo sorriso, insieme alla volontà di vivere e lottare, sono la migliore esegesi del Vangelo della vita che dobbiamo proclamare.
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