martedì 8 febbraio 2011
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Duemila; tre milioni; quattro: i conti non tornano. Eppure il programma era chiaro fin dall’insediamento della prima giunta Alemanno: smantellare i campi abusivi e sostituirli con aree attrezzate, sorvegliate, dotate di servizi, con abitanti censiti per impedire che delinquenti comuni cerchino (e trovino) rifugio nell’intrico di baracche e roulotte spuntate negli anni ai bordi o nel cuore delle periferie romane. Quel piano, che adesso anche il presidente della Repubblica chiede di completare in fretta, è partito senza decollare. Con la sacrosanta chiusura del "Casilino 900" (una ferita alla dignità umana che le precedenti amministrazioni lasciarono ingigantirsi fino alla setticemia) e del "La Martora", si è proceduto allo sgombero di oltre trecento campi abusivi e alla realizzazione di sette villaggi attrezzati. Ora i nomadi che a Roma vivono in condizioni del tutto "abusive" sono poco più di duemila. Non dubitiamo degli ostacoli burocratici lamentati dal sindaco: sussistono. Ci chiediamo però se, per trovare una soluzione sicura e decorosa, in una capitale europea di circa tre milioni di abitanti (stando solo ai residenti) non ci siano altre strade da percorrere, magari provvisorie, in attesa che i nodi della burocrazia finalmente si sciolgano o vengano tagliati. La morte orribile di quattro innocenti ne fa (anche) una questione, urgente, di proporzioni. I numeri reali del problema sono esigui, le tragedie che produce sono enormi.
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