sabato 1 ottobre 2016
Napoli come Aleppo: la violenza offende i bambini
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​Ci sono giorni in cui gli uomini ritrovano la forza per ridare fiato alla speranza. Giorni in cui anche le persone più discrete e riservate sentono il dovere di alzare la voce per gridare che così non va. A tutto c’è un limite. Anche alla cattiveria umana. Anche al menefreghismo degli stolti. Anche all’ indifferenza di quei “buoni” che tanto buoni evidentemente non sono. Come vorrei che gli italiani – tutti gli italiani - oggi vivessero uno di quei giorni. Come vorrei che potessero scandire lo slogan: «Io sono un bambino di Miano». Ho detto Miano, non Aleppo. Ad Aleppo i bambini stanno soffrendo una tragedia immensa. Sotto gli occhi di un mondo rassegnato e stanco. Ma Miano? Che c’ entra Miano? E dove si trova? Miano è uno dei tanti quartieri poveri, trasandati, violenti, dimenticati di Napoli. E Napoli è la capitale del Meridione d’ Italia. E l’ Italia è parte integrante di quell’ Europa che vogliamo continuare a costruire. A Miano – come negli altri quartieri a rischio - i bambini non sono tutelati. A loro non è concesso il diritto di vivere sereni. Le loro piccole vite sono tenute in ostaggio dalla camorra. Questi bambini sono ripetutamente derubati della bellezza e della spensieratezza della loro bella età. La vita con loro è stata più cattiva di una strega. La loro flebile voce, però, ricacciata in gola dalla paura, rompe l’azzurro del cielo e giunge fino al Padre che è nei cieli. E ci condanna. E ci fa arrossire il volto. Questi bambini sono fatti oggetto di una violenza inaudita. Venerdì 30 settembre. Sono le quattro del pomeriggio. L’ora in cui san Giovanni, per la prima volta, incontrò Gesù. E quell’incontro gli cambiò la vita. Alle quattro dl pomeriggio di venerdì, invece, a Miano scoppia l’inferno. A Napoli è ancora estate. Fa caldo e i bambini stanno per la strada a giocare al pallone. La strada, il vicolo, lo spazio davanti alla parrocchia per loro sono gli unici spazi dove poter correre e divertirsi. Questi bambini chiedono poco, ma nemmeno quel poco viene loro concesso. Arrivano all’ improvviso, come sempre, alla velocità della luce. Il rumore assordante delle moto fa sobbalzare il cuore agli adulti. Loro hanno già capito, i bambini, no. Sono in quattro, i sicari. Pistole in pugno, casco integrale in testa, sanno dove andare, chi colpire. Evidentemente uno “ specchiettista” ha fatto la spia. La gente fugge.Cerca un riparo. Sa che in quei terribili momenti la morte potrebbe arrivare “ per errore”. Errori che i sicari hanno già messo in conto. “Tutti possono sbagliare”, dicono. Occorre essere prudenti, guardarsi le spalle a Miano, al don Guanella, alla sanità, a Forcella. I clan sono in guerra tra loro. Le mamme lo sanno, sono avvisate, non debbono lasciare in giro i loro figli. I tempi sono duri. La camorra, che amava vantarsi di dar da mangiare ai poveri, di osservare principi e regole, è come un cane impazzito. Una iena cattiva che non guarda in faccia a nessuno. Una vipera che morde e ti avvelena. Arrivano i sicari e sparano all’impazzata. Alle quattro del pomeriggio. In un quartiere popolare. Tra i bambini che giocano al pallone. Inaudito. Ovunque si leverebbero proteste. Ovunque chi si è assunto l’onore e l’onere di governare, dopo l’ennesima sparatoria direbbe: «Fermi tutti. C’è qualcosa che non va. L’ Italia non è un paese in guerra. Miano non è una trincea. I bambini hanno la precedenza. Sempre». Da noi non accade. Queste sparatorie ormai sono qualcosa di routine. I sicari sparano. Hanno buona mira. Due uomini, non ancora quarantenni, passano da questo mondo all’altro. Con il terrore negli occhi e l’odio nel cuore. La morte se li porta via in un baleno. Loro, i bambini, cercano riparo dietro le macchine in sosta e i bidoni delle immondizie. Le motociclette, poi, riprendono a rombare. I sicari, soddisfatti del “ lavoro”, vanno via. A terra, in un mare di sangue, restano due cadaveri sfigurati. In mezzo alla strada. Tra i bambini che giocavano a pallone. I parenti delle vittime si disperano. Le mamme, come impazzite, vanno alla ricerca dei figli. Li chiamano per nome. Li ritrovano, attoniti e annientati, a sbirciare la scena del delitto. La curiosità morbosa tenta di mettere in fuga la paura. Poi la polizia, i rilievi, le domande. Tutto come da copione. I morti vengono portati via. Chi oggi piange già giura che domani farà piangere. Chi ha pianto ieri si prepari a piangere ancora. I padri condannano a morte i loro stessi figli. Chi oggi corre a uccidere il nemico gli sta fornendo l’arma per ammazzare il figlio. È vero: il peccato prima di renderci peccatori ci intontisce. Ci toglie il ben dell’ intelletto. Non mi interessa ricostruire la geografia dei clan emergenti e di quelli perdenti a Napoli. Provo una pietà immensa per i due giovani massacrati. So bene che non erano innocenti. Ma sono i bambini di questi quartieri poveri e violenti oltre ogni immaginazione le vere vittime di una guerra che non conosce tregua. Sono loro a rendere tristi le mie giornate e pensoso il mio sacerdozio. I miei confratelli che operano in questi quartieri ce la mettono tutta. A loro, alle suore, ai volontari, a tutti coloro che si spendono per rendere più vivibile la vita di questi cari giovani, va la nostra solidarietà, il nostro affetto, la nostra amicizia. Ma, per quanto si diano da fare, da soli non potranno mai far fronte a questa ondata di violenza stupida, bieca, illogica, sanguinaria. I bambini non si toccano. I bambini vanno tutelati. I bambini vanno difesi. I bambini vanno amati. Tutti i bambini vanno amati. Anche quelli di Miano. Perciò chiedo a tutti oggi di sentirsi un povero “ bambino di Miano”.
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