giovedì 28 aprile 2016
Quattordici omicidi in quattro mesi. Un altro tragico record sfila sotto lo sguardo attonito dei napoletani. Ma occorre mantener in vita la pietà e mettere al sicuro i semi di speranza.
A Napoli la guerra di camorra è ricominciata. Lo Stato intervenga
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A Napoli non si fa in tempo a portare al camposanto un morto ammazzato che già  ne viene ucciso  un altro. Nel giro di appena quattro mesi  si contano  già quattordici omicidi,  quasi uno a settimana.  Mercoledì sera a Miano l’ultimo agguato. Per adesso. Il figlio della vittima, a sua volta, fu  ucciso nel dicembre scorso. Una tragedia immane. Non solo per chi muore e per la sua  famiglia. Una tragedia immane per l’ intera città e – spero -  per l’ intera nazione.   La logica delle bande è paragonabile, per certi  aspetti, a quella della pulizia etnica. In questo saliscendi dei vari clan in guerra per il predominio della città, quello vincente tenta di fare  piazza pulita dei vecchi nemici. L’ illusione, almeno per qualche tempo, che “ adesso comando io ”. Provare le vertigini del potere incontrastato. Lo sanno, certo che lo sanno, che  l’ euforia durerà il tempo delle mele.  Lo sanno, certo che lo sanno che, i nemici presto o tardi faranno alleanza con i vecchi amici e allora il vento cambierà. Si sale e si scende. Come se fosse un gioco. E invece si spezzano vite umane. Il potere logora. Chi ce l’ ha e chi non ce l’ ha . Chi lo esercita e chi ardentemente lo agogna. Guerre  perdute in partenza. Nessuno mai ne venne fuori vincitore. I camorristi hanno pianto e fanno piangere. Hanno ucciso e sono stati  uccisi. Per certuni non meritano nessuna pietà. Ma se si dovesse spegnere  la pietà nel cuore dei giusti la  sconfitta sarebbe veramente cocente. Dobbiamo, invece,  mantenerla in vita, la pietà. Ridarle fiato. Alimentarla.  Quando  brucia la foresta occorre mettere al sicuro i semi. Per trapiantarli dopo. Quando si spegne il fuoco. Quando attorno c’è solo aridità e morte. Mettiamo al sicuro i semi della speranza, della sete di giustizia, della pietà. I semi della preghiera e dell’impegno. Della caparbietà nel voler fare solo e solamente il bene e quelli della condivisione. I semi della capacità di sognare e quelli dell’indignazione. Il tempo delle chiacchiere e delle passerelle, delle proteste e delle promesse è finito. A Napoli la guerra di camorra è ricominciata. C’è sangue dappertutto. Il rischio di finire in mezzo a una sparatoria è alto. Non che fosse mai finita. Lo sappiamo che ha sempre covato sotto le ceneri. Lo sappiamo che la tranquillità era solo apparente. Quando però le armi tacciano, i comuni mortali hanno almeno l’impressione di vivere in un Paese normale. Ne hanno bisogno come il pane, l’acqua, l’aria. In caso contrario dovrebbero scappare via. Portare in salvo i figli. Preparare per loro un futuro più sereno. In Italia c’è un bisogno immenso di legalità, di onestà, di  trasparenza. Da parte di tutti. Soprattutto, come ha detto ieri il presidente della Repubblica, da parte della politica. Il popolo napoletano ha il diritto di vivere in pace. Allo Stato compete il dovere di assicurare questo diritto inalienabile, fondamentale. Napoli è una città  antica e bella. Colta e fantasiosa. Che sia finita per essere ostaggio della malavita organizzata è una vergogna per tutti. Mi chiedo se in una qualche importante città d’Europa il terrorismo internazionale avesse ucciso una persona ogni settimana che cosa sarebbe accaduto? Che decisioni sarebbero state prese? A Napoli ci si ammazza per le strade, nei vicoli, tra la  gente. Lo Stato non può lasciare i suoi cittadini in balia di pericolosissimi pazzi sfrenati e cocainomani. È suo dovere proteggere la città, chi ci vive e chi la frequenta. Da questa maledizione Napoli non si libererà da sola. Non ne ha la forza. La Campania, l’Italia e l’Europa debbono decidersi ad affrontare questo scempio con lo stesso impegno, la stessa serietà, la medesimia severità, gli stessi mezzi con cui oggi combattono  il terrorismo internazionale.

 

 

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