«Gli occhi inchiodati su quegli occhi». Tutti noi e la fame di pane e giustizia
venerdì 21 settembre 2018

Caro direttore,
ho fissa sul mio tavolino la prima pagina di “Avvenire” del 12 settembre: «Fame da morire». E non riesco a distogliere lo sguardo. Ogni volta che mi siedo, gli occhi s’inchiodano sulla foto e sull’articolo di Daniele Zappalà, riguardante quel bambino denutrito. Quella creatura umana mi fissa con due occhioni imploranti cibo: “... ho fame, come posso crescere se non mangio, come posso andare a scuola, come posso vivere con la pancia vuota?”. È anche mio fratello, ma io ho tutti i giorni il primo piatto, il secondo, il contorno, la frutta, il caffè, il vino, e per di più l’acqua minerale! Come posso aiutarlo? Periodicamente mando un piccolo contributo (da pensionato) alla Caritas, o al Cuamm-Medici con l’Africa o all’Unicef, ma questo non può bastare. Il costante richiamo evangelico, anche attraverso il nostro giornale, di papa Francesco «avevo fame, avevo sete, ero forestiero... » mi affiora nell’animo nel vedere questo mio fratello così giovane e così denutrito. Può essere un richiamo, senza puntare il dito contro nessuno, a coloro che siedono “su alti scranni” a mettere le mani sul cuore e nel portafoglio. Grazie, caro direttore, per questo “pugno nello stomaco” che può far bene a tanti credenti e no, e può far riflettere ancora di più quando si vedono i nostri ragazzi che “smanettano” con cellulari, app e diavolerie varie, mentre lui chiede semplicemente e solo da mangiare...

Gianpietro Mariani Pensionato, già operaio metalmeccanico Olginate (Lc)

Grazie mille volte grazie della sua gratitudine, caro amico. Viviamo in tempi in cui chi schiaffeggia la verità sino a sfigurarla passa per un vincente e magari lo diventa davvero. Tutti noi siamo di un’altra scuola. E abbiamo un altro sguardo e cerchiamo di ascoltare la voce della coscienza. Che sopporta “pugni nello stomaco” a fin di bene, chiama alle carezze per chi soffre, impone la fatica scomoda della denuncia e dell’impegno personale e comunitario. Quel bambino e i suoi ottocentoquindici milioni di fratelli e sorelle chiedono, infatti, pane e giustizia. Strapparli a uno a uno alla fame assassina è un dovere umano e un imperativo morale che deve farsi azione politica globale. Senza di lui, senza di loro, nessuno di noi è salvo davvero e per sempre. Abbiamo bisogno di perdere il sonno e di non perdere l’anima e la ragione per riuscire a cambiare questo mondo ancora così ingiusto. E quelli a cui invece il mondo va bene così ci chiamino pure “terzomondisti”, non ci offendiamo e continuiamo a lavorare perché questo mondo sia uno solo, davvero uno.

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