giovedì 30 aprile 2020
Due magistrati spiegano che per evitare la paralisi sarà necessario cambiare modello. Dopo l’epidemia, il lavoro per i tribunali non diminuirà. E la scarsità di risorse sarà quella di prima
Giustizia, una riforma globale per salvarla dal coronavirus

Ansa

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Nel variegato universo della medicina clinica si sta affermando la global health, visione di una sanità che trascende i confini per occuparsi anche delle aree del globo meno avvantaggiate sia sul piano economico che della organizzazione. La sua ambizione è di poter fornire servizi al più ampio numero di persone bisognose di cura, di essere cioè universale, sicura e tempestiva pur a fronte di contesti non favorevoli. Quando la giustizia del nostro Paese uscirà dalla paralisi quasi totale imposta dalla fase acuta del Covid-19 e dovrà affrontare la graduale ripresa di funzionalità, verrà utile ricordare quantomeno l’ispirazione della global health.

E' facile prevedere che le crisi relazionali, sociali ed economiche indotte da quella sanitaria, avranno un pesante impatto sull’apparato giudiziario chiamato a rispondere alle crescenti sollecitazioni civili e penali. I conflitti – tra imprese e persone – non diminuiranno di certo, al pari delle diverse forme di criminalità: organizzata, economica, da strada, di genere. Senonché l’apparato che dovrà sostenere queste impetuose domande è quello stesso affetto dalle croniche insufficienze che il Covid-19 sta impietosamente svelando in non pochi suoi comparti. Valga un esempio per tutti: il ritardo nell’informatizzazione dei servizi, messo a nudo allorché alla necessaria desertificazione degli uffici giudiziari dettata da ragioni di sicurezza avrebbe dovuto subentrare e supplire il telelavoro, di fatto realizzatosi in misura assai ridotta proprio mancando le connessioni e le dotazioni informatiche necessarie.

A fronte del già avviato gigantesco impegno dello Stato per rilanciare in primis l’economia, è realistico pensare che questo apparato non beneficerà – quantomeno nei tempi brevi – di finanziamenti importanti. Dunque, destinato ancora a rimanere povero, esso sarà chiamato a intervenire su un contenzioso civile e penale ben più pesante di quello attuale, dove il nuovo si sovrapporrà a quello già esistente, quest’ultimo per giunta immobile da lunghe settimane. Poiché l’uso sapiente delle risorse diventerà imperativo sin d’ora funzionamento del sistema penale non può sfuggire al test di effettività rispetto alla sua missione. Rimuovere questa verifica significa di nuovo rinunciare, più o meno consapevolmente, alla vocazione universale della Giustizia.

Coloro che scrivono non ignorano, insieme a tanti, che l’inveramento di questa vocazione implicherebbe un intervento di lungo respiro, sui diversi piani della legislazione – sia sostanziale che processuale – e della organizzazione. E che quindi esso appare poco realizzabile nella sua interezza a fronte delle più impellenti priorità della ripresa dalla pandemia e del mai stabile quadro politico.

Non dovrebbe, però, perdersi questo drammatico momento per quantomeno attenuare il pan-penalismo – che alimenta l’incessante introduzione di nuove figure di reato – sì da abbattere la domanda penale, che già prima dl Covid-19 era assolutamente eccessiva rispetto alla capacità di risposta con le forze e al modello di processo in campo, che su qualsiasi delitto può impegnare tre gradi di giudizio ed almeno nove giudici. Così la seria sterzata verso la sanzione amministrativa per non poche ipotesi (ora) di reato potrebbe dar respiro, purché le pubbliche competenti vengano poste nelle condizioni effettive di applicarla.

Sarebbe poi giudizioso lavorare su qualche limitata riforma che introduca elementi di razionalità e sostenibilità nel procedimento penale senza intaccare il nocciolo duro delle garanzie dei cittadini, siano essi indagati, imputati o vittime. Per convincersene bastano le relazioni annuali di presidenti delle Corti e di procuratori generali che da lustri si susseguono nel denunciare l’enorme arretrato giudiziario. Arretrato che non è solo una fredda statistica ma, quel che conta, la somma enorme di energie pubbliche e risorse finanziarie dissipate, legittime pretese individuali mortificate, tutele collettive mancate, perdita di credibilità delle Istituzioni.

E allora, pensando ad un legislatore minimo che voglia togliere un po’ di piombo alle gambe della nostra affaticata Giustizia penale, è auspicabile l’apertura di cantieri lungo alcune direttrici mirate. Così, senza alcuna pretesa di completezza, varrebbe la pena di muoversi per:

1) approdare così come già avviene nel contenzioso civile al deposito telematico degli atti con formazione digitale dei fascicoli nonché all’invio con posta elettronica certificata al difensore di fiducia delle comunicazioni destinate all’assistito, invio ora ammesso solo per la fase emergenziale in corso; in generale: l’economia di tempo, dotazioni e persone sarebbe enorme tanto più se si pensa che tali notifiche distolgono non poco la polizia giudiziaria dalle proprie funzioni primarie;

2) abolire l’obbligo generalizzato di informare ex ante la persona offesa della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, compresa quella in cui l’autore del reato rimane ignoto: di nuovo il risparmio di risorse sarebbe rilevante e tanto più obbligato se si considera che percentualmente minime sono le opposizioni avanzate dalle vittime, alle quali andrebbe data comunque la facoltà di proporre reclami ex post su cui il giudice deciderebbe una volta ottenuto il parere della pubblica accusa, così evitando il rituale – comunque energivoro – delle udienze, per lo più stancamente ripetitive di quanto affidato ad atti scritti;

3) consentire ai giudici del dibattimento di acquisire documenti la cui controvertibilità di contenuto è spesso prossima alla zero, come ad esempio i tabulati del traffico delle comunicazioni elaborato in automatico dalle Società di gestione: posto che raramente la dialettica tra pubblico ministero e avvocato è in grado di apportare un qualche valore aggiunto sulla veridicità di quanto ivi registrato, si verrebbe in tal modo evitata l’irragionevole dilatazione dei dibattimenti insieme all’inutile – e financo farsesca – cross examination di un funzionario di polizia costretto a riferire sul contenuto dei tabulati... dopo essere stato autorizzato a leggerli;

4) prevedere la possibilità di celebrare da remoto processi – in tutto o in parte – a carico di imputati detenuti, tanto più se numerosi, ferma la facoltà dei difensori di essere fisicamente accanto agli assistiti ovvero di fruire di linee di comunicazione riservata con costoro: i protocolli responsabilmente intervenuti tra magistrati e avvocati in queste settimane non stanno dando cattiva prova sia in punto garanzia della difesa che speditezza del giudizio sicché l’esperienza ben potrebbe proseguire oltre la crisi sanitaria di queste settimane;

5) ammettere forme di motivazione semplificata e contestuale delle sentenze quando il giudice di primo grado accolga le conclusioni concordi di pubblici ministeri e difensori;

6) correggere l’attuale pressoché illimitata facoltà di appello delle sentenze prevedendone l’inammissibilità, ad esempio quando le condanne di primo grado hanno soddisfatto le istanze della difesa, l’imputato ha reso confessione, la pena inflitta è nel minimo assoluto; ovvero disincentivarlo ammettendo che il giudice di secondo grado possa essere più severo e restituendo alla pubblica accusa il pieno potere di impugnazione;

7) rendere non impugnabile la sentenza di patteggiamento, in cui la pena (anche nella sua entità temporale) è stata chiesta o accettata dallo stesso imputato;

8) contenere il giudizio della Corte di Cassazione ai casi di effettiva violazione di legge sostanziale e processuale, con esclusione del semplice vizio di motivazione che già i giudici di primo e secondo grado hanno redatto: per tale via la Suprema Corte – ad oggi composta da quasi 200 giudici penali gravati da oltre 50.000 ricorsi – potrebbe recuperare appieno il suo ruolo, naturale e cruciale, di orientamento uniforme nell’interpretazione delle leggi.

Nel medio termine poi sulla base delle evidenze empiriche andrebbero fatti i conti sulla tenuta del nuovo codice di procedura penale in vigore da oltre 30 anni. Senza anticiparli né banalizzarli, quel che si può dire è che la scommessa di avere un processo pienamente accusatorio, in grado di essere vitale grazie alla definizione alternativa della stragrande maggioranza dei casi, è ormai persa posto che patteggiamento e giudizio abbreviato non coprono che il 10% circa degli interi affari penali. Idealmente sarebbe tempo di una riforma organica del codice di rito, con meno mitizzazione del modello e più attenzione al servizio.

Senonché il dopo Covid-19 della fase acuta non sollecita soltanto Parlamento e Governo, qui ed ora, a rendere, pur parzialmente, meno distanti strumenti e obiettivi della Giustizia penale. Esso esige con pari forza, dagli operatori, l’uso sapiente delle risorse, in primisdel tempo. Così l’utilizzo dello spazio nei Palazzi di Giustizia, il ricorso all’informatica, le tecniche di indagine, la selezione dei casi da portare giudizio, la pianificazione e tenuta delle udienze, la dialettica delle parti e le modalità di discussione e motivazione, dovranno ispirarsi ai criteri di sobrietà e necessità – né di più né di meno di quanto occorre – da valere per giudici, pubblici ministeri ed avvocati. Rimuovere questa necessità ignorando la fragilità del sistema penale impietosamente disvelata da questi tempi ed illudersi di tornare a tutto come prima sarebbe nel contempo atto di presunzione e di ulteriore fallimento. Non è da dimenticare infatti che quel 'prima' è (anche) fatto da una giustizia penale che non poche volte s’è mostrata tardiva, monadica, autoreferenziale e insensibile al progresso tecnologico.

Giannone è Giudice del Tribunale di Asti

Perduca è Procuratore della Repubblica di Asti

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