Giorno del ricordo, le diversità come ricchezza
martedì 11 febbraio 2025

Dagli «errori e dalle sofferenze del passato» può scaturire un insegnamento per l’oggi. «Perché le diversità non dividono, ma diventano ricchezze se si collabora e si pensa, insieme, nell’ottica di futuro comune». A ventun’anni dalla sua istituzione, c’era un clima diverso, ieri al Quirinale, per le celebrazioni della Giornata del Ricordo. E non solo nelle parole di Sergio Mattarella. Accanto alla rievocazione della tragedia delle Foibe, nelle testimonianze e nei discorsi politici ha trovato posto per la prima volta la parola riconciliazione. A renderlo possibile è stato l’allargamento a Est del sogno europeo dei padri fondatori: sono 21 anni che, in parallelo, è stato abbattuto – di fatto – il confine con la Slovenia. Nel 2013 si è aggiunto l’ingresso della Croazia nell’Unione e così un’intera generazione ha potuto prendere dimestichezza con barriere che sia alzano e si abbassano lungo una frontiera segnata fino a pochi decenni fa dal filo spinato delle Cortina di ferro.
Così, oltre al dolore, nel giorno che evoca due immense tragedie dalle ferite mai risanate, sono risuonate anche parole di speranza e riconciliazione. La “pedagogia” del confine orientale di Mattarella, fatta di parole ma soprattutto di gesti, ha dato sicuramente una mano. Celebre l’immagine del luglio 2020 quando, in una solitudine evocativa tipica dell’era Covid, il nostro Capo dello Stato e il suo omologo sloveno Borut Pahor, tenendosi per mano, resero omaggio alla foiba di Basovizza, davanti al monumento che ricorda quattro antifascisti sloveni fucilati nel 1930 per ordine del Tribunale speciale fascista. Perché, come ha ricordato ieri anche il ministro degli Esteri Tajani, la spirale dell’odio e delle ritorsioni ideologico-nazionalistiche era nata ben prima del massacro del 1945 ad opera dell’Ozna (le squadre di azione titine) che prese di mira militari, civili e anche 453 donne, colpevoli tutti, in sostanza, di essere italiani e cattolici.
«La sofferenza sia patrimonio comune», auspicò Mattarella in quell’occasione. Il passaggio dal dolore alla speranza lo segna la caduta del “nostro” Muro di Berlino, idealmente concretizzatasi con la proclamazione di Gorizia e Nova Gorica, insieme, prima Capitale europea transfrontaliera della cultura per il 2025. «La guerra porta sempre con sé conseguenze terribili», ricorda Mattarella. Ma il riscatto dagli orrori non può consistere nella proclamazione, ognuno per parte sua, dei diversi nazionalismi, tenendo vive le possibili premesse per conflitti futuri. Il Trattato di Osimo, 50 anni fa (stipulato da Rumor ministro degli Esteri, con Moro presidente del Consiglio) fu duramente avversato dalla storiografia vicina alle ragioni dei giuliano-dalmati, che lo lesse come una rinuncia definitiva alle loro giuste ragioni. Era, invece, al pari del Pacchetto per l’Alto Adige firmato dallo stesso Moro negli anni Sessanta, il tentativo di chiudere, sia pur con dolorose rinunce, a una contesa in un ex confine di guerra per aprire una stagione nuova di pace.
Al netto delle legittime rivendicazioni italiane, che possono e debbono essere riprese, quel disegno è andato avanti: «Oggi nel nostro continente – ha detto il Presidente della Repubblica –, Stati e popoli che nel passato si sono combattuti sono insieme nell’Unione Europea, condividendo valori, identità, princìpi, prospettive». Ancora una volta c’entrano la guerra e le responsabilità di chi l’ha scatenata se in quelle zone l’Italia ha dovuto pagare un prezzo altissimo che ora va nei limiti del possibile risanato. Così come c’entra, a parti invertite, la penalizzazione delle componenti tedesche dell’Alto Adige alle quali, però, sono stati riconosciuti dall’Italia diritti amplissimi. Un terreno su cui c’è ancora tanto da poter fare, se amiamo la pace, vedendo dove può portare - non lontano da queste zone e alle porte d’Europa - la mancata definizione negoziata delle contese di confine. Tajani ha ricordato la riunione ministeriale "Amici dei Balcani" cui ha partecipato: «Il ricordo delle vittime della violenza e l’esodo dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia deve contribuire alla costruzione di una memoria condivisa sulle dolorose vicende del nostro confine orientale». Una memoria fatta anche di passi concreti e reciproche concessioni, archiviando definitivamente il tempo della guerra.

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