Ma quei ginocchi piegati sono tutti passi avanti. Razzismo perdente
sabato 6 giugno 2020

Il giorno in cui George Floyd è stato ucciso un altro episodio rivelatore (pur assai meno grave e meno raccontato) ha suscitato clamore e riprovazione negli Stati Uniti. Una donna bianca (i colori della pelle in queste vicende hanno purtroppo ancora un ruolo centrale) telefona alla polizia nel bel mezzo di Central Park a New York per chiedere l’intervento urgente degli agenti: «C’è un uomo afroamericano che mi minaccia». Mr Cooper, omonimo per beffa del destino della signora Cooper attaccata al cellulare, è un addetto alla conservazione della fauna e aveva invitato la passante a tenere al guinzaglio il proprio cane, affinché quest’ultimo non disturbasse gli altri animali del parco. «È afroamericano», insisteva la donna durante la chiamata. Il video della scena ha scatenato la riprovazione di molti, compreso il datore di lavoro di Ms Cooper, che l’ha licenziata.

C’è anche questo nell’America che è scesa in piazza ieri a Washington dopo 11 giorni di proteste ininterrotte per il brutale arresto e omicidio (forse preterintenzionale) di un giovane nero responsabile dello spaccio di una banconota falsa. Le rivolte violente sono solo una parte, la più spettacolare e la più negativa per la causa in gioco, di una mobilitazione che non è nuova e certo non sarà risolutiva per la cancellazione del color divide, la linea invisibile di separazione che negli Usa per molti è ancora reale e dolorosa.

Non ci basta, infatti, sapere che i nostri più diretti progenitori sono nati in Africa circa 6 milioni di anni fa con la pelle scura per proteggersi dal sole, e probabilmente ci siamo “schiariti” nel Nord del mondo per le pressioni ambientali solo negli ultimi 100mila anni. La differenza di pigmentazione è quindi un dato naturale come la variazione nell’altezza media (confrontate olandesi e peruviani, per esempio), mentre la razza è soprattutto un’invenzione sociologica per giustificare le discriminazioni. Tutto questo è spiegato in un libro appena uscito in traduzione italiana (Colore vivo, dell’antropologa Nina Jablonski), ma pubblicato in edizione originale negli Stati Uniti. Quindi, sarebbe forse meglio dire: non vogliamo saperlo. Perché la grande separazione è data da chi è color blind, cioè non si cura della pelle del suo prossimo, e chi continua a essere preda di un pregiudizio profondo verso i non bianchi, quel pregiudizio che ha permesso all’America di sfruttare gli schiavi provenienti dall’Africa tra il 1619 e il 1865 e ancora oggi permea la mentalità di molti con gradazioni diverse (dai poco tolleranti ai suprematisti violenti).

Una frattura culturale prima che politica, in un Paese che vede nelle università un’attenzione spasmodica al rispetto delle minoranze – con eccessi a volte comici, a volte pericolosi –, mentre un’ampia fetta della popolazione disprezza gli intellettuali e si riconosce nei poliziotti che fanno rispettare la legge costi quel che costi e nel sistema che premia chi ha successo e condanna senza appello i “perdenti”. Anche se i “perdenti” partono già sconfitti per un retaggio secolare di emarginazione. Il fatto che Trump volesse oggi mandare l’esercito per sedare i moti di piazza contro la violenza sui neri, mentre Lyndon Johnson nel 1965 mandò le truppe federali per consentire la marcia da Selma a Montgomery contro la segregazione razziale non significa che nel frattempo non vi sia stato un grande progresso. Allora il governatore Wallace era un attivo sostenitore della separazione dei neri nella vita pubblica e rifiutò l’ordine del presidente di muovere la guardia nazionale, oggi la signora Cooper che chiama la polizia per l’afroamericano che la disturba viene cacciata dal lavoro.

Trump non è un razzista, ma è anche il frutto della reazione agli otto anni di Obama e vuole il voto dei bianchi con pregiudizi non potendo avere quello dei professori. Ma ogni ginocchio che si piega, a Washington come a Torino ieri, è un segnale che il cammino dell’uguaglianza prosegue e che, con le parole del Papa, non possiamo più tollerare nessuna forma di razzismo né di esclusione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI