Gentile famigerato? Gli si addice il doppio taglio di una parola-lama
mercoledì 24 novembre 2021

Signor direttore,
se è vero – editoriale del 9 novembre: «Saper scrivere, saper leggere» – che la struttura dell’esame di Stato rimane sempre la stessa del disegno originario del 1923, nonostante modifiche più o meno utili, qualificare come «famigerato» il ministro Giovanni Gentile che l’ha promossa (tra l’altro concordata con Benedetto Croce) intristisce. Famigerato ovvero “famoso per azioni o qualità negative”. Giovanni Gentile è stato per mezzo secolo insieme a Benedetto Croce il più eminente rappresentante della nostra filosofia, massima è stata la sua penetrazione nelle scuole e nelle università italiane, dove l’attualismo – soprattutto dopo la prima guerra mondiale – ha rappresentato la corrente filosofica più seguita. Trattandosi di un editoriale, l’articolo rispecchia veramente l’opinione del giornale, di solito molto pacato ed equilibrato nei giudizi?

Giambattista Cena Giovanni

Gentile, gentile lettore, è e resta un grande intellettuale europeo e, pur con tratti di indubbia autonomia, l’ideologo principe del fascismo. Ammetto di essermi fermato anch’io su quel-l’aggettivo – famigerato – posto come una pietra d’inciampo nella scorrere elegante della prosa immediata eppure sempre meditata dello scrittore Eraldo Affinati, a sua volta grande intellettuale ed educatore engagé (ma, lui, risolutamente dalla parte dei “piccoli”). Mi son chiesto se non potesse suonare eccessivo quel “famigerato”: termine che ha una carica di ambiguità, tra l’accezione negativa che lei cita e il significato, più antico, letterario e letterale, di semplicemente “famoso” o “reso famoso”. E mi sono risposto che l’intelligente uso di quella parola-lama, col suo doppio taglio, era più che motivato. Affinati sa sempre quel che fa e che scrive. Ho pure immaginato che, magari, avrebbe spinto a riflettere e a reagire. E le sono davvero grato per la sua lettera, anche per la concisione e la precisione del pensiero offerto. Aggiungo, a scanso di equivoci, che a mio giudizio non fu giusto ammazzare Giovanni Gentile, in un agguato tesogli nel pieno della guerra civile italiana che sarebbe diventata Liberazione dal fascismo. Ma dico anche che bisogna pur giudicare non l’astratta levatura di un uomo di pensiero, bensì le applicazioni di quel suo pensiero e, nel caso del padre dell’attualismo, il contributo concreto che egli diede al regime totalitario che costrinse, illuse e infine distrusse l’Italia e la rese complice e protagonista di misfatti orribili nel cuore nero del Novecento. Gentile non condivise tutto (e anche su queste pagine l’abbiamo documentato), ma purtroppo da ben poco pubblicamente si dissociò.

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