domenica 12 febbraio 2012
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Caro direttore,
il 3 di febbraio il volo per Dublino delle 20,30, dopo successivi spostamenti, è stato infine cancellato alle due e mezzo del mattino. Niente taxi né altri mezzi di trasporto. Unica prospettiva, passare la notte sul pavimento della sala arrivi dell’aeroporto di Ciampino insieme agli altri sfortunati passeggeri degli altri due voli cancellati. Mio marito e io, in là con gli anni, siamo usciti sul piazzale davanti all’aeroporto per vedere se arrivavano soccorsi ma abbiamo solo notato un signore che toglieva la neve dal parabrezza della sua automobile.
Gli abbiamo chiesto se poteva darci un passaggio per Roma e lui ha risposto quietamente che stava tornando a Rieti con un ragazzo tredicenne, dopo aver aspettato invano l’arrivo di un parente da Bologna. Di fronte alla nostra costernazione, ci ha però invitati a salire lo stesso in macchina con i nostri bagagli e ha dichiarato che un’ora in più o in meno non faceva differenza. Lo abbiamo ringraziato increduli, ma lui ha sostenuto di essere soltanto «il mezzo di qualcuno che aveva pregato per noi».
Cambiando del tutto il proprio percorso, attraverso un paesaggio irreale di neve, silenzio e solitudine, in cinquanta minuti ci ha depositati sotto casa nostra. Il mio cellulare non ha registrato il suo numero di telefono e ancora non siamo riusciti a ringraziare come avremmo voluto il signor Mohamed, marocchino originario di Casablanca che abita a Rieti da più di vent’anni, e salutare Amin, studente delle medie appassionato di scienze che parla italiano meglio di noi.
Loretta Baldassarri D’Ascenzi, Roma
 
Non so dirle, cara signora Loretta, se il signor Mohamed sarà raggiunto da queste sue parole attraverso le nostre pagine. Ma lo spero, sinceramente lo spero. Poiché so anch’io che tutti, ma proprio tutti, in modi anche impensabili possiamo essere nei confronti di chi incontriamo un «mezzo» giusto, persino lo strumento provvidenziale delle preghiere di chi ci vuole bene. Sono contento che ci aiuti a ricordarlo l’uomo e padre – un cittadino di Rieti, nato a Casablanca, in Marocco – che, in una gelida sera di febbraio, ha «quietamente» soccorso lei e suo marito insegnando al suo ragazzo, nato e cresciuto nella nostra terra, qualcosa di semplice e di definitivo a proposito della gentilezza, dell’uso buono del tempo, del rispetto verso chi «è il là con gli anni» e, appunto, della forza della preghiera. Sarei anche contento, cara signora, se questa piccola storia che lei ha condiviso con noi aiutasse, con la sua lineare eloquenza, tutti coloro che hanno responsabilità politiche a riflettere con un po’ più di urgenza sul modo migliore per governare con realismo, giustizia e umanità i processi di immigrazione e d’integrazione nella nostra Italia. E, per ultimo, oso augurarmi che anche qualcuno di quelli che amano suscitare soprattutto polemiche e sospetti contro gli stranieri venuti a vivere e a lavorare con noi riesca a interrogarsi su che cosa ci rende davvero "stranieri" gli uni agli altri, su che cosa rischia di farci perdere la nostra antica e generosa sapienza cristiana nei rapporti umani.
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