sabato 1 febbraio 2014
​Contestato lo spettacolo di Cristicchi Magazzino 18: prima che si alzi il sipario fanno irruzione venti giovani armati di megafono.
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Il teatro Aurora di Scandicci (Firenze) è stracolmo, in centinaia attendono che il sipario salga. Invece la tenda di velluto rosso si apre alle loro spalle e dal fondo della platea fanno irruzione venti giovani (neanche tanto), suppergiù trentenni armati di megafono. Naturalmente non hanno pagato, ma queste sono quisquilie piccolo borghesi, i tribunali del popolo non si fermano alle biglietterie. Mentre a tutto volume va la musica di "Bella ciao", i coraggiosi rivoluzionari affrontano quegli anziani, profughi da Pola o da Zara e da un passato che solo loro conservano nel cuore: occupano il palco affinché non vada in scena "Magazzino 18", il musical di Simone Cristicchi sull’esodo dei Giuliano-dalmati. «Siamo qui a impedire che si offenda la Resistenza», urlano nei megafoni, nemmeno sanno che la storia che lì si racconta è tutt’altro: i nostri italiani, tra cui migliaia di antifascisti, morirono nelle foibe jugoslave, nulla a che vedere con la Resistenza. Proprio come i partigiani, si opposero a una dittatura e scelsero la libertà. Il manipolo però non sta a sottilizzare e distribuisce comunicati stile anni ’70: le «mistificazioni sulle cosiddette foibe hanno fatto breccia nel mondo della sinistra» – sentenziano –, questa volta «a giocare sporco» è Cristicchi, «inventandosi» massacri collettivi ed esodi forzati. «Niente di tutto questo ovviamente è avvenuto», gridano esaltati, ma chi li ascolta da quelle foibe è scappato e quell’esodo lo ha vissuto sulla sua carne. Il pubblico fischia, piange, ribolle. Non conoscono stenti quei figli di papà, uguali a quelli un tempo messi all’angolo da Pasolini, non sanno di dittature, cantano "Bella ciao" ma intanto calpestano i valori civili della Resistenza, negano la democrazia, pensano e agiscono da squadristi. Miriam Andreatini, 83 anni, il padre rastrellato a Pola in una notte nel ’45, si preoccupa per loro, «poveri ragazzi cui forse nessuno ha raccontato». Accosta i due più scalmanati, «prima guardate, poi civilmente direte la vostra», prega. Comprende che non sanno nulla e vorrebbe abbracciarli, «voi siete il nostro futuro, io sono un’esule, io ho visto!». Fino al 1957 a Firenze è vissuta in un campo profughi... Spiazzati i due capetti ordinano la ritirata e dopo venti minuti di bagarre il sipario si apre. Questa volta dalla parte giusta.
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