sabato 26 ottobre 2013
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Gentile direttore,
il 23 ottobre ho percepito il mio stipendio e sono appena tornata dalla banca presso la quale ho versato la Tares (186 euro) e 1.096 euro di tasse sulla buonuscita del 2011 (come se la liquidazioni non fossero già tassate...). Dello stipendio, per questo mese, non mi resta niente. Ebbene, mentre tornavo a casa afflitta, cercavo di analizzare razionalmente i miei sentimenti e mi sono fatta un po’ paura: un profondo disgusto con sottili venature di odio verso uno Stato che chiede, chiede e punisce come un Cesare tiranno. Un rancoroso senso di voltastomaco ogni volta che accendo la tv e mi imbatto nei soliti sapientoni pseudointellettuali che parlano di aria fritta, un senso di sconsolata incredulità nei confronti di una politica patologicamente silviocentrica, una venatura di (ahimè, lo ridico...) odio sottile verso questo 'sistema Italia' che punisce con autocompiacimento chi osa fare dei figli (senza tenere conto che questi figli, tra vent’anni, lavoreranno per pagare le pensioni di chi figli non ne ha voluti) e chi, testardamente e anacronisticamente, si sposa e rimane sposato (l’Isee è una batosta fiscale tutte le volte che accedo al servizio sanitario o che devo iscrivere i figli all’asilo, per esempio... Viene da dire, perché evidentemente si vuole che si dica: beati coloro che convivono!). Mi dica, direttore: ma è eticamente e moralmente corretto questo tartassamento? Non porta, invece, a una esasperazione anche dei cuori più miti (come il mio) e a un legittimo quanto impossibile desiderio di fuggire da una madrepatria che di materno non ha proprio niente? Se avrà tempo di rispondermi, le sarò grata, intanto scusi lo sfogo umanamente comprensibile di una normale e anonima mamma italiana sfiduciata e con poca speranza per il futuro dei suoi figli. Mi perdoni se le chiedo di non firmare per esteso. Cordialità e buon lavoro dalla terra emiliana.
Elisa​betta
Certo che la perdòno, e ci mancherebbe! Anche se non vorrei che diventasse un’abitudine degli amici lettori quella di chiedere un totale o parziale anonimato. Anche se proprio non capisco, gentile signora, perché lei non voglia firmare per esteso. Le sue amare considerazioni si aggiungono, infatti, a tante nostre cronache, a storie esemplari, a incalzanti commenti. Ma forse, ciò che l’imbarazza è essere arrivata al punto di ammettere con me, oltre che con se stessa, di sperimentare nei suoi pensieri «venature di odio». Concetto forte, sentimento ingombrante, duro eppure vischioso, capace di far perdere lucidità a chiunque. Per questo credo che lei, in realtà, non abbia affatto ceduto – poco o tanto – all’odio. Lei è amara e severa, ma soprattutto lucidamente efficace nel tratteggiare una rapida analisi che si basa su una concretissima realtà di vita. E va al cuore del problema. La famiglia fondata sul matrimonio – quella che papa Francesco, proprio ieri, ha definito il «motore del mondo e della storia» – in questo nostro Paese è trattata da anni, sul piano normativo e fiscale, in un modo che da inadeguato si è fatto incomprensibile e ormai è semplicemente e indecentemente ostile. Eppure, gentile amica lettrice, ogni volta che lo si ricorda a politici dei diversi schieramenti ci si sente come se si stesse parlando col muro. Perché? Perché le reazioni principali sono di tre tipi.
1) Quelle di chi dice: «È tutto vero, è da pazzi, ma ormai non c’è più solo la famiglia tradizionale…». E cascano letteralmente le braccia, perché magari sono gli stessi per i quali la Costituzione è «intoccabile», ma gli articoli 29, 30 e 31 è come se non fossero stati scritti...
2) Quelle di quanti ti danno totalmente ragione, e ammettono di stare in minoranza. Oppure quelli che invece in maggioranza ci sono stati più volte e che, magari, ti accusano di non essere abbastanza duro nella polemica 'culturale' pro-famiglia (vai a capire perché si dovrebbe fare più polemica che concreta proposta positiva, ma in Italia va così…), poi però, all’atto pratico dell’azione legislativa e di governo, non fanno mai nulla di sanamente rivoluzionario per rimettere finalmente la famiglia (soprattutto quella con figli) al centro di un sistema fiscale e di servizi davvero amico. Al massimo si limitano a non procurare più danni di quanti già non ne siano stati fatti.
3) Infine ci sono le reazioni di coloro che con la famiglia hanno una specie di conto aperto, e hanno deciso che a pagarlo debbano essere gli 'scriteriati' che – come lei – si sposano, restano sposati e tirano su dei figli perché hanno dato loro la vita o perché, adottandoli, li hanno rimessi al mondo. Poi ci sono due tipi, diciamo così, di fuoriclasse.
Quelli dell’intolleranza, da ultimo bravissimi a lanciare accuse di «omofobia» non appena si riafferma che un bimbo ha diritto di avere un padre e una madre e, dunque, una cornice familiare naturale e tendenzialmente stabile nella quale – uso ancora i concetti richiamati ieri da papa Francesco – «imparare ad amare» e sperimentare comunitariamente il valore della dignità di ogni persona, in qualunque condizione sia.
E, infine, i fuoriclasse della buona coscienza e della buona volontà. Tra i nostri politici, per la verità, non sono moltissimi, ma non sono nemmeno insignificanti. Sono coloro che si rendono conto del «tartassamento», come lo chiama lei, e si battono infischiandosene dei tatticismi. Li apprezzo, in qualunque partito militino. E penso che anche noi tutti non ci possiamo sgomentare e non ci dobbiamo arrendere. Perché ci tocca di continuare a dire ciò che va detto e a vivere ciò che va vissuto. E ci spetta di cercare di costruire, da cittadini, una politica seria e nuova, lontana dai vecchi e deludenti schemi tanto quanto da certe nuove (o seminuove) demagogie. La vita vera che lei racconta, la concreta fatica e la tenace forza delle famiglie italiane merita gratitudine, rispetto e risposte. E le merita presto.
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