Eutanasia e suicidio assistito, nodi seri tra stile e questioni di sostanza
giovedì 20 gennaio 2022

Dura e persino insolente replica di due promotori del referendum al professor Flick che lucidamente segnala le potenziali gravi conseguenze di un sì all’omicidio del consenziente

Gentile direttore,

il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, intervistato dal suo giornale venerdì 14 gennaio 2022, ha continuato a raccontare la favola che farà, farebbe, seguito all’esito positivo del referendum 'Eutanasia Legale', secondo la quale un ragazzo in forte depressione, perché abbandonato dalla fidanzata, potrebbe chiedere all’amico di 'spingere il grilletto' per darsi la morte. L’amico, sostiene Flick, dopo il referendum, non sarà punibile. Ci teniamo a sottolineare il mancato approfondimento dell’autore sulla giurisprudenza in materia. Le condotte descritte dalla sua storiella, infatti, sono costantemente condannate quali omicidi dolosi. Tra le altre cose, Flick forse non tiene conto neppure della giurisprudenza relativa al concetto di incapacità, che è da intendersi come una minorata capacità psichica, anche momentanea e transitoria, riconducibile ad esempio a una depressione o a una nevrosi. Dunque, secondo la giurisprudenza il caso del fidanzato depresso che chiede all’amico di ucciderlo non verrebbe mai inquadrato nella fattispecie di omicidio del consenziente bensì ricadrebbe nel comma 3 dell’art. 579 che non è oggetto dell’abrogazione referendaria. Il quesito referendario, infatti, mantenendo intatte le tutele per le persone vulnerabili come appunto i minori, gli incapaci (anche se momentaneamente a seguito di una delusione amorosa) e tutti coloro il cui consenso non sia libero, chiede l’abrogazione di un reato non solo inapplicato nella prassi ma soprattutto incostituzionale anche alla luce della sentenza 242/2019 sul caso Cappato- DjFabo che rende lecito il ricorso alla morte volontaria per i malati che, in presenza di certe condizioni, siano in grado di auto-somministrarsi il farmaco letale. La permanenza nel nostro ordinamento del reato di omicidio del consenziente rappresenta una discriminazione contraria alla nostra Costituzione in quanto non consente l’accesso alla morte assistita a tutte quelle persone che proprio a causa della malattia non hanno la possibilità materiale di somministrarsi il farmaco e hanno bisogno di un aiuto medico esterno. Forse, prima di paventare scenari irrealistici e terroristici relativi a percorsi di fine vita, occorrerebbe un maggiore contatto con la giurisprudenza e con le realtà legate a condizioni di malattia e sofferenza.

Filomena Gallo e Rocco Berardo Associazione Luca Coscioni


Caro direttore, non è l’amicizia che mi lega a padre Carlo Casalone e a Giovanni Maria Flick a farmi apprezzare le loro convergenti conclusioni circa la delicatissima e controversa questione del suicidio medicalmente assistito e, segnatamente, sulla legge a riguardo in discussione alla Camera. E cioè – semplifico – circa l’opportunità di lavorare in positivo ad essa per contribuire a scongiurare, se possibile, il 'male maggiore' del referendum, che, come è noto, ha raccolto oltre un milione di firme e che, sostanzialmente, condurrebbe a una liberalizzazione dell’eutanasia. Ancora: più che alle conclusioni, il mio apprezzamento va alla riflessione che a esse conduce e che Casalone ha limpidamente fissato in un articolo in uscita su 'La Civiltà Cattolica' che suggerisco di leggere e di meditare. Riassumo, molto semplificando. La tesi secondo la quale merita applicarsi a migliorare il ddl di cui è relatore Alfredo Bazoli è, dicevo, solo l’esito di un ragionamento imbastito intorno al concetto – noto alla teologia morale – di 'legge imperfetta'. Cioè alla onesta consapevolezza che essa non è compiutamente conforme al magistero e che tuttavia, nelle condizioni date, con opportuni correttivi, essa potrebbe corrispondere al 'bene comune in concreto possibile'. Se non ho inteso male, il percorso che porta a tale conclusione è il seguente: una puntuale e accurata disamina della proposta di legge in discussione; la precisa segnalazione delle sue criticità cui applicarsi; il costruttivo suggerimento degli auspicabili emendamenti al testo; la fissazione dei punti in cui esso si discosta dalla 'verità intera' prospettata dal magistero; soprattutto la preoccupazione per la visione a monte e le derive culturali a valle (anche sulla scorta di comparazioni internazionali) – il cosiddetto piano inclinato, che non è argomento peregrino – di una legge figlia della nostra temperie culturale. Con grande acume, Casalone, in apertura del suo saggio, fa cenno alla circostanza che la questione, imposta da casi singoli, drammatici e di forte impatto emotivo, meriterebbe di essere situata nel quadro di una riflessione ben altrimenti profonda e comprensiva, di natura etico-antropologia, circa il senso della vita, del dolore e della morte. Ma tant’è: la questione è in agenda e con essa ci si deve responsabilmente misurare. Pur con tutte le avvertenze sopra evocate, Casalone – e Flick, intervistato da 'Avvenire', con lui – utilmente e coraggiosamente svolge un ragionamento di natura etico-politica. Primo: ci si mette nei panni del legislatore («per chi si trova in Parlamento ...», si legge). Va apprezzato: per la mia piccola esperienza, troppe volte il legislatore cristiano ha avvertito un senso di solitudine, si è sentito giudicato dall’esterno, deprivato non dico del consenso (la responsabilità ultima è sua e non è declinabile), ma almeno della comprensione per il difficile compito cui è chiamato dentro le istituzioni. Secondo: l’aiuto nel praticare un lucido, oggettivo discernimento delle concrete condizioni di contesto. Sia politico sia culturale. Politico, ovvero le regole e le dinamiche del consenso dentro i regimi liberali, democratici e pluralisti ove – piaccia o non piaccia – si decide a maggioranza. Culturale: società nelle quali domina un senso comune di stampo individualistico-libertario e il 'dogma' dell’autodeterminazione. Padre Casalone riprende sul punto un intervento di papa Francesco all’indirizzo di un’associazione europea di medici dediti al fine vita, nel quale si incoraggia alla ricerca di «soluzioni normative condivise », come si conviene nelle società democratiche. Mi ha altresì colpito che 'La Civiltà Cattolica', nel sostenere come «non sia auspicabile sfuggire al peso della decisione affossando la legge», in nome dell’etica della responsabilità (cioè delle effettive conseguenze, leggi: il referendum incombente), accenni a un argomento raro nella parenesi cristiana: quello di non portare ulteriore acqua al mulino del discredito delle istituzioni politiche. Concorrendo a reiterare l’inadempienza del Parlamento a una sollecitazione da tempo avanzata dalla Corte costituzionale – che sul suicidio assistito ha sentenziato, ponendo paletti – perché esso provveda a colmare un vuoto normativo che scarica sui singoli magistrati decisioni troppo discrezionali (arbitrarie?) sui casi concreti che si vanno proponendo con doloroso clamore.

Franco Monaco già parlamentare della Repubblica


Mi colpisce sempre il tono piccato e aggressivo di certi politici, e di certi avvocati – e i due importanti militanti dell’Associazione Coscioni questo sono, politici e avvocati – quando non solo affermano in modo dogmatico le loro 'verità', ma raggiungono e superano il limite dell’insolenza apostrofando bruscamente persone di grande statura e competenza – il bersaglio stavolta è il professor Flick, penalista insigne e presidente emerito della Corte costituzionale – che le hanno messe in difficoltà con stringenti argomentazioni sulle potenziali conseguenze dell’avventata operazione referendaria sull’eutanasia. Ma mi lascia francamente di stucco che costoro, come burberi maestrini e maestrine, pretendano di spiegare ai loro bersagli e a noi tutti come va il mondo e in questo caso – udite udite – di profetizzare come procederà imperituramente la giustizia italiana. Esercizio temerario. E tanto più se se, con l’ascia referendaria, Filomena Gallo, Rocco Berardo e gli altri referendari si propongono di amputare e sconvolgere le norme che oggi impediscono di praticare come normale e addirittura civile l’omicidio di una persona che si dichiara (o viene presentata come) consenziente. Progettare un radicale e rischioso cambio di norme e assicurare che tanto la giurisprudenza, cioè i giudici chiamati volta per volta ad applicare le norme stesse, impedirà errori e autentici orrori somiglia più a una scommessa azzardata che a un ragionamento sostenibile. E il sonno della ragione, si sa, alla fine e desolatamente genera mostri e mostruose disumanità. La riflessione di Franco Monaco si sviluppa su un piano assai diverso, non solamente per la dichiarata amicizia nei confronti dei due interlocutori evocati – lo stesso Flick e padre Casalone autore su 'La Civiltà Cattolica' di un denso articolo su eutanasia e suicidio assistito che non merita letture superficiali – ma soprattutto per il tono e la qualità delle argomentazioni. Già solo il dato di stile aiuta a cogliere la diversità di approccio tra chi ha idee chiare e, a partire da esse, pratica il dialogo e il confronto politico- legislativo e alcuni sussiegosi interpreti di un radicalismo sentenzioso e per nulla non-violento (Pannella si rivolterà nella tomba) che vorrebbero scrivere e riscrivere a piacimento – e senza contraddittorio – leggi e decisioni giudiziarie e persino dettare la linea ai giudici costituzionali. Piano, signori e signore, est modus in rebus! Qui mi limito a sottolineare questo. Ma ricordo anche che il ddl sul suicidio assistito su cui si sta lavorando alla Camera nasce dalla presa d’atto della sentenza 242/2019 della Consulta, che ha aperto e posto seri limiti a questa pratica, e dalla constatazione che quei limiti purtroppo in alcuni casi emblematici già si tenta di ignorare o, comunque, di aggirare. Per questo è un impegno che merita di essere perseguito e perfezionato in modo onesto. Meglio, sempre, il cesello del legislatore saggio dell’accetta dei referendari.


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